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Tra tenori che tradiscono gli amici, baritoni voltafaccia e bassi dubbiosi, il tutto per inciso sempre all’italiana e vale a dire con riabilitazione finale delle peggiori malefatte, Bossi si troverebbe decisamente a proprio agio. Persino il colorito linguaggio del personaggio politico in questione, sebbene autodichiaratosi estraneo alle faccende italiane, restituisce in pieno la migliore tradizione melodrammatico-valorosa del Belpaese.
Secondo il sistema di valori tipico di Bossi, infatti, per quanto Tremonti sia «un uomo valido» l’accoglienza di costui nella Lega, beninteso, «dipende da noi». Cioè da lui: il Senatur che, sfoderando il melodrammatico e sempre duro ferro, oggi dà e domani toglie.
Monti «è cattivo» (ma Manzoni avrebbe detto «bravo») perché con la sua riforma delle pensioni minaccia la categoria più indifesa e anche, per inciso, quella che probabilmente costituisce l’elettorato più credibile di cui disponga la Lega: i cosiddetti, testuali parole, «vecchietti».
Berlusconi, squillino le trombe, fino a ieri valoroso cavaliere nonché compagno di avventure di Bossi, sarebbe diventato nientemeno che «un comunista»: decrepito insulto ormai valido per tutte le occasioni e dunque figurarsi per questa. L’eroe decaduto è servito.
Infine, piaccia o meno, come nel miglior finale d’opera si è svolta una sanguinosa battaglia, quella tra Padania e resto d’Italia, e manco a dirlo chi ha avuto la meglio è stata la Padania la quale, con la seguente lampante motivazione, si è guadagnata il diritto di battere moneta: «La Padania non tornerà più alla lira. Tornare alla lira per cosa? Per continuare a mantenere questi furfanti? Ha vinto la Padania» chiarisce Bossi. «L’Italia ha perso e ora in Europa nessuno vuole mettere i soldi in un fondo salva stati. I tedeschi giustamente non vogliono pagare i debiti dell’Italia e della Grecia, quindi non se ne farà niente. Non esiste un fondo che possa salvare gli stati. Una volta finito l’euro, la Padania si farà la sua moneta».
Ormai il Senatur vive in un’opera. Come Bela Lugosi che, ineguagliato interprete di Dracula, dopo aver puntato la sveglia per l’indomani si coricava tutte le sere in una bara, così Bossi, al pari di quel Don Alvaro di verdiana memoria che, orfano, si riteneva discendente della famiglia reale Inca, incorona se stesso sovrano dello stato della Padania. E tuttavia, a ben vedere, un Bossi padano è sempre meno credibile.
Considerata la tendenza tutta italiana che spinge il Nostro ad inscenare l’incompreso tenore di turno ovvero, a seconda dei casi, il contrariato baritono maledicente quando non il basso sicario, sarà ormai necessario che la Padania rinunci al Senatur e proceda all’incoronazione di un altro più credibile sovrano. Suggeriamo il nano Alberich, custode del tesoro dei Nibelunghi nonché personaggio di più dignitosa renana stirpe, disoccupato fin dai magri tempi della fine della tetralogia wagneriana.
E così, con buona pace di Wotan che dal Valhalla tuona le proprie ingiurie all’indirizzo del verdiano e, suo malgrado, mediterraneo Bossi, oltre alla neonata moneta forgiata in autentico oro del Reno la Padania crea anche nuovi posti di lavoro. D’altra parte, come fece notare un umorista statunitense, «l’opera lirica è un luogo dove un uomo viene pugnalato e, invece di morire, canta»: il massimo dell’efficienza.
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