Mi piace molto parlare con gli scienziati. Nel corso degli anni ne ho conosciuti molti e uno di loro, l’ultimo membro vivente della scuola di Copenaghen, quella che ha gettato le basi della teoria quantica, è un mio carissimo amico. Ho imparato che gli scienziati si dividono in 2 categorie. La prima è di quelli che fanno fino in fondo il loro mestiere di scienziati e ritengono che la scienza non abbia limiti, che possa spiegare tutto e se non lo ha ancora fatto è solo questione di tempo. La seconda è di quelli che, di fronte a certe domande, danno risposte tipo: “Ah, qui usciamo dai limiti della scienza. Queste domande dovresti rivolgerle a un prete.” Di solito replico: “Perché proprio a un prete? Perché non a un cuoco o a un giardiniere?”
Perché, vedete, non è facile far arrabbiare Dragor, ma questa risposta mi manda in bestia. Forse la scienza non può ancora dare una risposta a tutto, ma che cosa vi fa credere che un prete sia più qualificato di uno scienziato (o anche di un giardiniere) per occuparsi di queste cose? L’esistenza di Dio, ovvero di un’intelligenza superiore che governa l’universo, prima di essere religioso è un problema squisitamente scientifico.
Questi scienziati calabraghe praticano il cosiddetto NOMA (Non Overlapping Magisteria, Non Sconfinamento dei Magisteri), inventato da Stephen Gould per dire che la scienza e la religione devono occuparsi dei rispettivi campi, quello empirico e quello trascendentale, senza mai sconfinare. Secondo me questa idea non sta in piedi. Rispondete a questa semplicissima domanda: quali sarebbero le questioni dove la religione è l’ospite d’onore e la scienza deve rispettosamente farsi da parte? In altre parole, quale competenza possono apportare i teologi alle questioni fondamentali e non gli scienziati?
Qualcuno dirà: “Ma i teologi passano la vita a studiare queste cose.” A parte il fatto che la teologia non sta in piedi perché dà per scontato quello che è tutto da provare, come dire che è costruita sul nulla, avete un’idea del livello culturale dei teologi?
Siccome a Kigali il Centre Culturel Français è stato riaperto ma ma la biblioteca non è in funzione (“perche' ci mancano i soldi”, mi ha detto l’ambasciatore), mi sono iscritto alla biblioteca americana.. Mentre la visitavo, il mio sguardo è caduto su “L’Esistenza di Dio” di Richard Swinburne, titolare a Oxford della più prestigiosa cattedra doi teologia di Gran Bretagna, membro della British Academy, come dire il meglio che la teologia possa offrire. “Be’, vediamo che cosa scrive questo tizio”, ho pensato. Ho preso il libro e il mio sguardo è caduto sul passaggio nel quale il buon Swinburne cerca di conciliare il Dio genocidario che i cristiani hanno importato dal Medio Oriente (e dal quale, purtroppo, imitano spesso le gesta) con il Dio amorevole che si sono confezionati per vendere meglio il prodotto e far digerire i genocidi. “La mia sofferenza mi dà l’occasione di mostrare coraggio e pazienza. Offre alla società l’occasione di decidere se stanziare o meno delle somme per cercare una cura per questo o quel tipo di sofferenza. Anche se un Dio buono soffre per il nostro dolore, si preoccupa certamente per il fatto che ognuno di noi dia prova di pazienza, di empatia, di generosità e così diventi santo. E’ così che alcuni possono essere stimolati a fare scelte importanti concernenti le persone che sono chiamate a diventare. Per altri la malattia non è altrettanto preziosa.”
Questo ragionamento grottesco illustra perfettamente il modo di ragionare della teologia. Se Richard Swinburne (che in un altro passaggio scrive “se una persona di meno fosse morta bruciata dalla bomba atomica di Hiroshima, ci sarebbero state meno occasioni di coraggio e di empatia”) fosse un aspirante filosofo o un aspirante scrittore, qualcuno gli batterebbe paternamente una mano sulla spalla, dicendo: “Guarda, caro, avrai molte qualità ma queste cose non fanno per te. Perché non fai qualcosa di utile come zappare la terra, coltivare le patate o scaricare la verdura ai mercati generali?” Ma siccome è un teologo, di fronte al tabù i cervelli si paralizzano, le lingue si bloccano e il fabbricante di scemenze può salire ai pîù alti livelli, fino a occupare una prestigiosa cattedra a Oxford e diventare membro della British Academy, guadagnando una barca di soldi presumibilmente a carico dei contribuenti.
Di tizi così è piena la società. Scrivono scemenze e si riempiono le tasche con i vostri soldi. Così va il mondo, quando si dà credito a cose come teologia.
Dragor