Scusate, mi sono un po’ persa. Devo finire il riassunto del libro di Dal Lago. Siamo arrivati al punto cruciale, cioè se ci sia o meno qualcosa di sbagliato e anche pericoloso, come lui sostiene, nel concepire la mafia come Male assoluto, e chi la combatte come Eroe.
Citando Brecht: “Sventurata la terra che non ha eroi” “No. Sventurata la terra che ha bisogno di eroi.”
Chi ha ragione? Ci sono buoni motivi per sostenere entrambe le posizioni.
Ammetto che sono tra le persone che amano la retorica dell’eroismo. Anch’io ho pensato alle mafie come quanto di più vicino al Male abbiamo per lo meno nel nostro tempo e nel nostro paese, e questo perché i mafiosi esistono in un tempo di pace e di miseria non assoluta, ma relativa, il che vuol dire, ai miei occhi, che di essere collusi o mafiosi si sceglie, anche se in circostanze difficili, e che chi sceglie questo è malvagio. Come conseguenza, chi ci si oppone senza compromessi è buono, almeno in questo campo.
In parte, non rinuncio a questa idea, perché più in generale non rinuncio a classificare le azioni umane in base a dei criteri morali, con tutto ciò che ne consegue. Non sarebbe possibile per me ragionare altrimenti. Inoltre, so di dire una gigantesca banalità, ma viviamo in un luogo e in un tempo in cui mancano grandi ideali. Per carità, anche il pensiero critico proposto da Dal Lago come alternativa all’adesione ad una generica lotta contro il Male, è un ideale appassionante. Forse è la mia grande passione e il mio faro, in un certo senso. Ma l’idea che la lotta contro la mafia, come a suo tempo fu la Resistenza sia, soprattutto se non strombazzata ma vissuta profondamente e costantemente, con coerenza e spirito di sacrificio, una forma di eroismo, di coraggio, di amore per la propria terra e il proprio popolo, di libertà… questa è un’idea a cui mi dispiace rinunciare, e infatti credo che la terrò ancora.
Però ho seguito con molto interesse l’argomentazione di Dal Lago.
“Dove compare il Male sento aria di distrazione di massa”, dice nell’introduzione. E poi cita Theodor Adorno: “così si interpreta la presa del potere da parte dei più forti in termini in fondo molto innocui, come macchinazione di racket al di fuori della società, non come compiersi della società in sé.” In altre parole: di chi sono figli i mafiosi? Del diavolo, di un grande complotto di malvagi a noi estranei, o di una certa Italia, una certa cultura, una certa complicità collettiva? Di una certa politica?
“Da che mondo è mondo gli affari delittuosi travano sponda e collaborazione nel potere”, scrive Dal Lago; “qualsiasi storia delle mafie è anche la ricostruzione di crimini letteralmente politicI“; infine: “in un terzo abbondante del paese le distinzioni elementari tra forme di vita o azione organizzata (“economia”, “politica”, “criminalità”) sono convenzionali. Si dovrebbe parlare invece di agglomerati di poteri che si specializzano in pratiche solidali e funzionali tra loro”.
E Saviano cosa c’entra in questo? Secondo Dal Lago, “minimizzando di fatto l’implicazione dei poteri pubblici, locali o nazionali, nel crimine organizzato, Saviano perviene non solo a una sorta di esaltazione romantica e anti-storica della lotta contro i criminali come gesto morale, ma anche a un’assoluzione di principio del potere statale.”
Veniamo al capitolo dedicato. Dal Lago cita dei passaggi della recensione di Saviano a Trecento, il film che narra la resistenza dei trecento spartani guidati da Leonida contro Serse. Lo scrittore sembra aver amato molto la trasposizione cinematografica della vicenda, e in generale l’idea di eroe indomito in lotta contro il Male, esaltandosi in una maniera che lascia parecchio perplessi (invito alla lettura per maggiori dettagli). Saviano poi applica questa retorica, ed esempi presi da storie mitiche ed “eroiche” come la saga di Beowulf, alle questioni di cui si occupa quali ad esempio il traffico di rifiuti tossici. Dal Lago obietta: “Che senso ha… una semplificazione ipermoralistica, in chiave di bene e male … di una questione come il traffico della spazzatura?… nel caso di Saviano…si tratta… della divisione del mondo in uno schema binario ossessivo: se Gomorra era l’esemplificazione del Male, in cui si suggeriva solo alla fine del viaggio l’esistenza del Bene incarnato dall’eroe [lui], oggi l’opposizione tra la sfera infernale e quella sublime è sbandierata senza ritegno: La bellezza e l’inferno è il titolo della recente raccolta di scritti… siamo davanti a un mondo di contrasti assoluti.”
Facendo un escursus più ampio, Dal Lago sostiene che “l’eroismo è un genere ampiamente praticato in Italia, le cui lettere vedono periodicamente eruzioni di retorica combattentistica e patriottica”, retorica che secondo lui non ha molto senso alla luce della storia italiana. E’ curioso che Dal Lago non parli mai di Resistenza: se c’è una fase veramente eroica della storia del nostro paese, io direi che è quella. Erano eroi, i partigiani? Secondo me sì.
Comunque, “l’oggettiva difficoltà di trovare nel nostro passato esempi illustri di eroismo armato ha fatto sì che fossero celebrati cittadini caduti nell’adempimento del dovere in tempo di pace”, i Falcone e Borsellino e aggiungo io Peppino Impastato e i tanti altri della nostra storia recente. “Esempi insigni”, secondo Dal Lago, tuttavia: “c’è da chiedersi se la retorica incessante profusa su quegli eroi non sia un modo, consapevole o no, di nascondere proprio l’inettitudine (e le vaste connivenze con il crimine organizzato) dei pubblici poteri.”
Continua: “la sostanza è proprio la funzione anestetizzante e distraente della retorica dell’eroismo. Crogiolandosi nell’eccezionalità dei comportamenti o nei supremi sacrifici, l’opione pubblica tace o dimentica connivenze, complicità, opportunismi, omissioni, doppi giochi.”
E ancora: “la retorica dell’eroismo… rivela… una funzione di supplenza rispetto a valutazioni disincantate e oggettive della realtà delle cose.” A noi non piace riflettere, smontare, capire: ci piace appassionarci e prendere parti. “L’emergenza, che altrove ha per lo più i caratteri dell’imprevisto o dei meri accidenti, in Italia è condizione normale di lotta assoluta a qualsivoglia minaccia… quando la patria è in pericolo, bisogna scovare qualcuno a cui delegare interventi eccezionali… chiunque sa, naturalmente, che si tratta di interventi di facciata e di eroismo a buon mercato. Ma la loro funzione serve a ribadire una contrapposizione ideologica e morale… e ha ben poco a che fare con la soluzione dei problemi.”
Berlusconi stesso per molti è un eroe, uno che si contrappone ai “cattivi” (comunisti, magistrati, invidiosi…), un salvatore. Secondo me anche Nichi Vendola, figura carismatica e nuova, viene spesso osannato e venerato, additato come quello che risolverà i problemi della sinistra. A me piace che spesso lui, non so in quanta buona fede, si faccia vedere a rifuggire da questa retorica, e a invitare piuttosto ad una comprensione reale della situazione e ad un impegno sia personale che collettivo di ciascuno verso l’obbiettivo comune.
Comunque: la retorica dell’eroismo svolge “il proprio compito di anestesia del senso di realtà” alla perfezione nel campo del crimine, presentato come “male radicale che si può combattere solo eroicamente.” Ma la realtà del crimine “è notoriamente sfumata e non consente polarizzazioni”, la camorra ad esempio gode di consenso locale e “alleanze in sfere legittime”. Saviano denuncia questo (tranne che le connivenze politiche), ma nei suoi testi “i tratti mostruosi degli uomini di camorra prendono il sopravvento.” Seguono esempi.
Qui la riflessione di Dal Lago si fa davvero profonda e interessante, ma la riassumo molto in breve. I mostri non esistono. Il male non è assoluto. Siamo tutti esseri umani, ed è questo il fatto veramente inquietante. Riprendendo Hannah Arendt, Dal Lago scrive che “il male, se vogliamo chiamare così le pratiche disumane che segnano più di ogni altro il XX secolo, è banale, superficiale, procedurale, una questione di mezzi e di opportunità, non un’epifania del Maligno.” Secondo me Dal Lago minimizza troppo il ruolo delle scelte morali individuali, ma ha ragione quando dice che “ciò che impedisce a normali esseri umani di praticare stragi e altri orrori non sono gli anatemi e le pose eroiche, ma le istituzioni civili, i vincoli sociali e i tabù espressi nelle leggi. E’ qui che dovremmo cercare razionalmente gli antidoti a un “male” che non discende da particolari aberrazioni, ma da possibilità inscritte in quel vasto contenitore chiamano umanità.”
Ora mi fermo, spero di trovare tempo per riassumere un ultimo pezzettino. Intanto vorrei sottolineare che le tesi di Dal Lago non sono solo sue, ma si ritrovino in altri scritti sulla mafia – le connivenze a tutti i livelli, la complessità del fenomeno, le complicità… ha ragione: fa comodo una mafia fatta di mostri e di cattivi, non semplicemente di uomini e donne.
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