Si ha a tratti l'impressione di assistere ad un melodramma, quasi didascalico nel rappresentare ciò che ha costituito la nascita di un metodo d'indagine che ha visto maestro e allievo progressivamente contrapporsi e dividersi, in cui le implicazioni scaturite tra Sabrina Spielrein (Keira Knightley) e il suo medico, nonché mentore Carl Gustav Jung (Michael Fassbender) costituiscono l'ossatura principale della vicenda messa in scena dal regista canadese, che si apre e chiude sulla figura della futura psicoanalista, quale elemento disturbante e perturbante nel rapporto padre/figlio sussistente tra i due professionisti e più volte rimarcato con evidenza dialettica dai suoi protagonisti.L'incontro iniziale tra i due studiosi disvela subito i caratteri, le pulsioni e il confronto metodico e interpretativo, tanto sa risultare quasi ingenuo nella sua evidenza esplicativa di due scuole di pensiero, una già formata, l'altra in attesa di sbocciare e di trovare le propria fondamenta. Caratteri appunto divergenti, che si palesano subito attraverso un elemento simbolico come il cibo, costantemente assaporato dal giovane Jung, mentre quasi disdegnato dal maturo Freud (Viggo Mortensen), intento invece a consumare il suo fedele ed evidentemente fallico sigaro, quale totem iconico della propria referenzialità costante alla sessualità quale punto di partenza delle sue interpretazioni psicoanalitiche.Se ne trae la conclusione che Cronenberg, già con l'eccellente Spider avesse rammostrato sufficientemente ed adeguatamente gli elementi tipici della psicoanalisi, attraverso i ricordi rimossi del suo disturbato protagonista, mentre nell'affrontare l'origine di questo metodo di analisi interiore, questa volta si sia dovuto piegare ad una rappresentazione fin troppo esplicita di quella metodica, forse passaggio inevitabile per illustrare concetti basici, seppur noti ai più come patrimonio culturale comune, in cui pochi sembrano essere i momenti di vera illuminazione all'interno di un'opera levigata e ben confezionata, che denota studio e attenzione, nonché un tentativo di percorso attraverso nuovi sentieri narrativi da parte di un regista che dal corpo e le sue mutazioni, sino alla violenza nella sua imprescindibilità, sembra sempre più rivolto alla comprensione della mente e delle sue più oscure zone d'ombra, ma questa volta il risultato è una confezione rassicurante e poco perturbante, come solitamente invece il suo cinema ha dimostrato di saper essere, anche nei suoi passaggi apparentemente meno riusciti.
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Si ha a tratti l'impressione di assistere ad un melodramma, quasi didascalico nel rappresentare ciò che ha costituito la nascita di un metodo d'indagine che ha visto maestro e allievo progressivamente contrapporsi e dividersi, in cui le implicazioni scaturite tra Sabrina Spielrein (Keira Knightley) e il suo medico, nonché mentore Carl Gustav Jung (Michael Fassbender) costituiscono l'ossatura principale della vicenda messa in scena dal regista canadese, che si apre e chiude sulla figura della futura psicoanalista, quale elemento disturbante e perturbante nel rapporto padre/figlio sussistente tra i due professionisti e più volte rimarcato con evidenza dialettica dai suoi protagonisti.L'incontro iniziale tra i due studiosi disvela subito i caratteri, le pulsioni e il confronto metodico e interpretativo, tanto sa risultare quasi ingenuo nella sua evidenza esplicativa di due scuole di pensiero, una già formata, l'altra in attesa di sbocciare e di trovare le propria fondamenta. Caratteri appunto divergenti, che si palesano subito attraverso un elemento simbolico come il cibo, costantemente assaporato dal giovane Jung, mentre quasi disdegnato dal maturo Freud (Viggo Mortensen), intento invece a consumare il suo fedele ed evidentemente fallico sigaro, quale totem iconico della propria referenzialità costante alla sessualità quale punto di partenza delle sue interpretazioni psicoanalitiche.Se ne trae la conclusione che Cronenberg, già con l'eccellente Spider avesse rammostrato sufficientemente ed adeguatamente gli elementi tipici della psicoanalisi, attraverso i ricordi rimossi del suo disturbato protagonista, mentre nell'affrontare l'origine di questo metodo di analisi interiore, questa volta si sia dovuto piegare ad una rappresentazione fin troppo esplicita di quella metodica, forse passaggio inevitabile per illustrare concetti basici, seppur noti ai più come patrimonio culturale comune, in cui pochi sembrano essere i momenti di vera illuminazione all'interno di un'opera levigata e ben confezionata, che denota studio e attenzione, nonché un tentativo di percorso attraverso nuovi sentieri narrativi da parte di un regista che dal corpo e le sue mutazioni, sino alla violenza nella sua imprescindibilità, sembra sempre più rivolto alla comprensione della mente e delle sue più oscure zone d'ombra, ma questa volta il risultato è una confezione rassicurante e poco perturbante, come solitamente invece il suo cinema ha dimostrato di saper essere, anche nei suoi passaggi apparentemente meno riusciti.
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