Può darsi che l’attribuzione del Nobel per la pace 2010 al dissidente cinese Liu Xiaobo (“per la sua lunga e non violenta battaglia per i diritti umani in Cina”) nulla dica ai destinatari della notizia: un Nobel come altri, attribuito anche a capi di stato, a persone lontane dalla nostra vita, dai problemi personali di ogni giorno. Ma Liu Xiaobo si trova in carcere condannato a 11 anni per ”istigazione alla sovversione”. Liu Xiaobo fa parte dei 303 intellettuali che hanno elaborato la Carta08 firmata da oltre 2000 cittadini cinesi. Il governo cinese era contrario persino alla sua candidatura, e ora lancia pesanti strali definendo “oscena” la scelta dell’Accademia svedese, imponendo nel paese il black out mediatico. La Cina è la seconda potenza economica per prodotto interno lordo, il paese con lo sviluppo economico più veloce del mondo (col tasso di povertà passato dal 53%, nel 1981, all’8% nel 2001), la Cina è la nuova superpotenza militare emergente. Ma la Cina è anche il paese che non ha introdotto alcuna libertà dal punto di vista politico, il paese in cui si eseguono più condanne a morte (parrebbe, 10.000 all’anno); ed è dai condannati a morte che sembrerebbe provenire la maggior parte degli organi espiantati. La Carta08 è un documento coraggioso che prendendo atto della gestione liberticida del potere, in Cina – e richiamando sia la Carta 77, elaborata da intellettuali cecoslovacchi, e la Dichiarazione dei diritti dell’uomo, sottoscritta a suo tempo anche dalla Cina – riassume le ragioni e i principi per un nuovo, auspicato governo democratico. Viste le reazioni, difficile dire (o fin troppo facile dedurre?) come impatterà questo importante riconoscimento nelle decisioni future delle alte sfere politiche cinesi.
Un intellettuale, dunque, Liu Xiaobo, che ha pagato sulla propria pelle la giusta aspirazione ad una società migliore, più giusta e più libera. Il Nobel ha premiato con questo non solo il suo coraggio, e quello di tanti altri come lui, ma il sentimento irrinunciabile della sfida e della speranza, quando sono in gioco valori di libertà e dignità umana universalmente riconosciuti.
A noi, così lontani e diversi da lui, da loro, non solo geograficamente, dovrebbe far riflettere questo premio, e ricordarci che gli intellettuali esistono ancora, e che hanno ancora una ragion d’essere quando prendono posizione e si mettono in gioco per una causa giusta. Ci dice anche, questo Premio, pensando alla nostra realtà politico-sociale, che mai tutto è perduto.