Mladen Penev
Ieri giornata campale: la Torresani addenta il Festival della Letteratura di Mantova, con Nikon al collo, padiglioni auricolari a parabola, penna carica e polpaccio agile.
Mantova annega in una folla di gente degna di Gardaland: il popolo della cultura clamorosamente c’è.
E non per vedere il faccione di Paperino dei Paperoni alias Lapo Elkann nel negozio Diesel come mi è capitato giovedì sera alla Vogue Fashion’s Night Out di Milano: no, decisamente tutto un altro tipo di calca.
Qui la gente fileggia e sgomiteggia per abbeverarsi alla fonte della conoscenza: pazzi controtendenza.
Schiacciata dal tutto esaurito e dalle attese chilometriche, sono riuscita solamente a godermi tre eventi:
- Matteo Corradini e Giusi Quarenghi: Come dio comanda (o domanda? Morsi di mistica ebraica
- Ahmad Rafat: I figli della rivoluzione (il movimento iraniano dell’Onda Verde)
- Corrado Bizzarri e Adolfo Ceretti: L’imputabilità della follia (in bilico tra criminalità e pazzia)
Ma a parte tutto (la bella giornata, la sana gioventù, l’ottimo cibo, la godibile compagnia), Mantova mi ha regalato la strepitosa consapevolezza che la cultura è ancora ambito esclusivo della gente di sinistra o di centro.
O meglio, per essere più precisi: nessun berlusconiano spreca il suo tempo tra teatro, libri ed incontri di questo genere.
Quasi tutti impugnavano in quotidiano: nessuno impugnava Libero o Il Giornale.
Perché effettivamente se la cultura è fruita ed assimilata nel modo giusto (cioè senza incidenti metabolici che in certi casi possono trasformare il nettare in veleno), crea spessore (civile e morale, innanzitutto).
E se c’è spessore, non ci può essere niente di berlusconiano.
Ovviamente non parlo, che ne so, di Loretta Goggi o Debora Caprioglio che recitano a teatro. Parlo della cultura soda, quella vera col valore aggiunto.
Quella che per forza di cose ti allontana dalla mediocrità e dalle cose ignobili, quella che ti indica la vera strada per la bellezza e, soprattutto, per IL SENSO.
Mladen Penev