Dice quell’altro: vuoi mettere la vanità
O un altro ancora: sono sempre i soldi...
Ma per Lui questo e altro
avrei fatto io, sì, io,
so che è arduo da creder, ma io
non solo per il vil denaro, non per la gloria o il dominio
feci tutto quel che potevo
per salvar dalle ire di Dike
Colui che mi aveva prescelto al fianco suo
facendomi sentire indispensabile
intelligente, diabolico
e suo eterno guiderdone.
Per Lui
ogni giorno, gaio, sfacchinavo
dal duro scranno della Camera alle polverose
di certe Procure aule
escogitando, procrastinando, sfornando e ricorrendo
e sempre più pesante si faceva la mia ventiquattrore
di segreti, e ricatti, e testi da
pagare, ammaestrare, ammorbidire.
Eseguivo con gioia
e con letizia proponevo
e mi sarei gettato nel fuoco
per Lui
anche se l’insonnia mi consumava,
anche se avevo scordato il piacere di un pranzo in famiglia
o di un amplesso notturno
o anche solo la sensazione
di svegliarsi con la coscienza immacolata,
anche se ogni mattina vieppiù somigliavo
a un emaciato protagonista di Twilight.
Finché mia moglie si stancò
di mai vedermi,
finché la prole, sangue del mio sangue,
mi rinfacciò di preferire i figli di Lui,
finché perfino il cane rifiutò sdegnato
meco mostrarsi ai giardinetti.
Quale angoscia, numi del cielo,
sopportai!
L’appetito si allontanava da me
e dimagrivo a vista d’occhio
né alcunché potevano i dietologi,
fino al momento in cui, scarnificato
come cristiano in tra i cannibali
come carogna in un formicaio
si avvicinarono l’un l’altra le mie cellule
e cominciai a rimpicciolire,
a contrarmi, a diventare
prima azzurrino come vena della fronte
dappoi grigio come fiume che tracima
infine trasparente come acqua sorgiva
sempre più esangui le labbra
e ritratte dai denti
sempre più evanescente lo sguardo mio triste
E una mattina, oh, una mattina,
saltai giù dal letto per correre in tribunale
e mi pestò, distratta,
la ciabatta della colf Maria Consuelo
cantando un motivetto peruviano
che narrava de la dulce muerte.