Pubblichiamo un intervento dello studioso Angelo Neve, che per primo affrontò il problema dei residuati bellici che continuano a minacciare il nostro mare.
"Fu grazie ad un articolo pubblicato il 10 novembre 1994 da La Gazzetta del Mezzogiorno, che ebbi modo di rendere pubblica la mia esperienza di ricercatore. Ancora oggi, a distanza di sedici anni, il problema della “bonifica” dei nostri mari resta di estrema attualità; anzi, possiamo dire che solo da poco tempo la questione comincia ad essere affrontata con un piglio risolutivo da parte delle autorità governative, più volte sollecitate ad intervenire.
Nel 1994, durante il corso della trasmissione COMBAT FILM, fui chiamato dalla RAI a tenere una relazione sui siti da me individuati delle bombe di “mustard - gas”, così definito per il caratteristico odore di mostarda. In quell’occasione, paventai l’enorme pericolo sussistente per i pescatori della zona di Molfetta e i consumatori del prodotto ittico, contaminato dal gas che i contenitori rilasciavano progressivamente dai fondali.
Attraverso alcuni politici pugliesi mi prodigai affinché la questione fosse discussa in interrogazioni parlamentari e fosse affrontata al più presto. Le risposte da parte dei vari Ministeri furono evasive e spesso mi fu profilato il fantasma del “Segreto di Stato” ed il pericolo di disturbare le relazioni diplomatiche con i Paesi della NATO. Fino al 1994 gli episodi di contaminazione da iprite non erano mai stati denunciati dai mass media né ufficialmente se ne dibatteva. Nel 1995, la NHK, una televisione giapponese, ritenne opportuno intervistarmi sull’argomento, in occasione di una trasmissione dedicata al cinquantesimo anniversario dell’esplosione di Hiroshima e Nagasaki.
Lo stesso anno, in occasione del 50° anniversario della Liberazione, ebbi modo di lanciare un ulteriore grido d’allarme: segnalai a RAI 3, nel corso di un’intervista su rete nazionale, la presenza di ordigni nel litorale barese e l’inerzia delle istituzioni. Mostrai, inoltre, la presenza sui fondali marini di una nave “Liberty”, affondata durante il bombardamento del porto, da me individuata e rinvenuta grazie ai volontari del CLUB SOMMOZZATORI BARI. Le pubbliche Autorità, pur a conoscenza della presenza di tale relitto, non hanno mai ritenuto necessario ispezionarne la stiva, al fine di verificare la presenza di eventuali bombe. In convegni e in altri numerosi articoli di stampa evidenziai, anche, il grave pericolo che incombeva sui bagnanti della costa molfettese dove, in prossimità di Torre Gavetone, esisteva una fabbrica di confezionamento di bombe all’iprite che furono riversate in mare, insieme con altre munizioni, subito dopo il bombardamento del porto di Bari del 2 dicembre 1943. Fu solo grazie all’intervento di un temerario magistrato barese, il Dott. Angelo Bassi, al quale mi rivolsi per chiedere aiuto e conforto in questa mia delicata inchiesta, che dopo anni, per la prima volta, si ritenne opportuno far intervenire una cacciamine (la cacciamine Gaeta) per stabilire l’eventuale presenza di ordigni sui fondali marini di Molfetta. Oggi grazie a quel tempestivo intervento del Dott.Bassi, in quel tratto di mare, sono stati eliminati più di 20.000 ordigni bellici (al fosforo, all’iprite, ecc.) dai reparti speciali della marina militare. Alcuni di questi ordigni, data la loro pericolosità a poterli emergerli dal mare, furono fatti brillare incoscientemente dalla marina militare, al largo del porto di Molfetta, causando un grave disastro a danno della fauna e della flora marina e anche dei bagnanti, visto che in questo modo arcaico di risoluzione del problema, sia l’iprite che il fosforo, rimangono in acqua allo stato liquido-oleoso e vi rimarranno per gli anni a venire. Di qui i vari episodi di irritazioni e allergie dichiarati in questi ultimi anni per chi si bagnava in quelle acque.
Già dal 94, e lo si può evincere dai numerosi articoli pubblicati sui vari quotidiani, evidenziai il problema della fragilità dei fusti contenenti iprite e degli involucri delle bombe abbandonati in mare, che col passare del tempo avrebbero potuto definitivamente deteriorarsi, dando luogo ad una catastrofe di proporzioni incalcolabili. Misi in luce anche il problema delle navi americane affondate nel porto di Bari dopo il bombardamento del 2/12/1943 cariche di bombe all’iprite e poi abbandonate al largo, forse a profondità inaccessibili. Ma come in tutte le cose sulla nostra terra e in particolare della nostra nazione, i problemi non si cercano mai di prevenirli, ma si cerca di risolverli solo quando è troppo tardi. Mi auguro, per questo grave problema, che si faccia ancora in tempo ad intervenire onde evitare catastrofi peggiori di quelli della piattaforma semisommergibile Deepwater Horizon.