Ultimamente sulle bacheche di molte persone appaiono dichiarazioni che diffidano Facebook dall’utilizzare in qualsivoglia modo quanto pubblicano. Sembra che all’improvviso tutti temano quello che fino all’altroieri era il luogo di maggior relax collettivo. Solo che, per essere precisi, Facebook è –per dirla con una definizione non mia, ma di Marc Augé – un “non-luogo”. Marc Augé, un antropologo, ha definito i non-luoghi come posti intercambiabili, di circolazione e di consumo, standardizzati e senza identità storica. Stazioni, aeroporti, autostrade, campi profughi, centri commerciali: i non-luoghi si distinguono per il loro anonimato e per la solitudine degli esseri umani che li attraversano o che li utilizzano senza incontrarsi mai. Un mondo di gente che si sfiora senza vedersi, senza storia, senza cultura comune, che l’essere umano ha costruito non per viverci, ma per usarlo.
Per un paradosso, se io mi trovassi improvvisamente catapultata a Nuova Delhi, senza conoscere una sola parola di Hindi, Panjab o Tamil, come in effetti è, sarei in ogni caso a mio agio in un centro commerciale, che è un non-luogo codificato secondo le stesse regole ovunque. A maggior ragione se in franchising, a ben pensarci: niente di più rassicurante di un bel McDonald quando ti senti spaesata e non sai dove posare la mezza dozzina di buste che ti porti in giro da un paio d’ore.
Come tutto il web, anche i social network come Twitter, Pinterest e Facebook sono dei non-luoghi dove la gente passa più o meno rapidamente, creando rapporti ridotti allo scambio di battute o non creandone quasi, nonostante le apparenze: in realtà la maggior parte dei post cade nel silenzio più tombale.
In questo vacuum iperpopolato, Facebook possiede un insieme di strumenti di informazione e gestione capaci di far concorrenza ad uno Stato, del quale spesso assume le sembianze autoritarie (perché ricordiamolo, a Facebookland il re è uno solo ed è ben poco virtuale). Ma riflettiamoci un attimo.
Tanto per cominciare, la vastità della rete creata è già di per sé indice di potere a livello simil-statale: se si calcola un miliardo di utenti, in base alla legge di Metcalfe, secondo la quale l’utilità e il valore di una rete sono pari a (N²-N), la cifra risultante è, per estremi, ben più dell’intera popolazione mondiale. Forse dobbiamo iniziare a contare anche gli alieni.
Facebook detiene inoltre un impressionante flusso di dati anagrafici fissi e mutevoli: re Zuckerberg potrebbe rilasciare, in base a quanto gli abbiamo autocertificato, attestati di nascita, frequenza scolastica, di matrimonio e di divorzio, come anche di domicilio e residenza. Il che sarebbe sicuramente più comodo che fare la fila all’anagrafe di Roma XV, ma fa comunque un po’ impressione.
Per fortuna, almeno per ora, utilizza solo in parte –e a fini commerciali- l’infinita banca dati da noi stessi volontariamente creata: non credo però che altri servizi segreti abbiano a disposizione un così elevato numero di schedati attraverso dati e soprattutto foto (da quando Facebook ha acquistato Instagram). In compenso Facebook vuol sapere dove siamo e con chi, giorno e ora, quando partiamo e quando torniamo, e soprattutto – con l’inflessibilità della fidanzata gelosa – ci chiede ad ogni momento “a cosa stai pensando?”.
Nel non-regno di Zuckerberg esistono mezzi di comunicazione (messaggi privati singoli o collettivi e telefonia via Skype) per tradizione affidati alle poste e telegrafi di ottocentesca memoria e, benché non ne conosca i meccanismi, so che si batte persino moneta (benché digitale, non immaginate i talleri d’oro col nasone del re) usata perlopiù per le transazioni nei giochi e nelle applicazioni.
Nonostante non sia una democrazia, e ce l’hanno dimostrato i numerosi cambiamenti imposti senza preavviso, in questo non-regno è possibile esprimere la propria opinione attraverso sondaggi che prevedono l’uso dei “like” -se preferite, i “mi piace”- che valgono come voto, tant’è vero che alcuni siti usano le approvazioni via facebook come contatore del gradimento delle loro proposte o per assegnare la vittoria in un concorso (e poiché tutto il mondo è paese, anche un non-luogo, anche queste votazioni possono essere pilotate).
Eppure a voi pare che dall’uso di un network sociale così diffuso derivi una maggior distribuzione della conoscenza? Nonostante la pletora di pagine dedicate alla cultura, alla politica, alla letteratura e all’arte, Facebook è ad oggi il veicolo prediletto per la diffusione di false notizie: le bufale, le leggende metropolitane – da quella del latte ribollito fino a cinque volte fino all’avviso che il sito diventerà dal mese prossimo (qualunque mese sia) a pagamento – sembrano trovare il terreno ideale per amplificarsi e diffondersi.
Le bufale pascolano libere
Se Orson Welles redivivo decidesse di far abboccare mezzo mondo alla storia di un atterraggio alieno a Grovers Mill, sicuramente userebbe Facebook e, a giudicare dalla credulità del popolo “sociale”, otterrebbe un risultato verosimilmente disastroso. Difatti è sufficiente un “condividi” per moltiplicare all’infinito un’opinione o un’immagine per quanto tarocche: il creatore della bufala che affibbiava a Lampedusa i primi tre casi di ebola in Italia si è beccato una denuncia, ma molti altri purtroppo la passano liscia.
Facebook è per questo motivo il non-luogo ideale per pubblicizzare e pubblicizzarsi, e ce ne siamo resi amaramente conto dalla quantità di annunci che invadono le nostre bacheche. E a proposito di bacheca, in altre lingue il termine corrispondente è “muro” come voler a cancellare l’impressione di vuoto in cui galleggiano le nostre parole mai pronunciate e le foto di figli e cagnolini. Come se Facebook, tutto sommato, fosse casa. E con questo ci avviciniamo al punto.
Che Facebook sia una vera casa è esattamente quello che tentano di farci credere, ma in realtà è uno stagno dove sguazziamo insieme a persone che conosciamo, ad altre che non conosciamo affatto e pericolosamente vicino ad altre che vorremmo non conoscere mai. Già, già: perché in questo non-regno non tutto è patinato e cristallino, ve ne sarete accorti. Se si aprono le porte al mondo, il mondo vi entra, nel bene e nel male: irrompono razzisti, stalker e omicidi (l’uomo che ha reso pubblico qualche giorno fa l’assassinio della ex-moglie ha avuto una marea di condivisioni, non dimentichiamolo), ci sguazzano i pedofili, i maniaci e le sette.
Insomma, Facebook è come una torta succulenta, dolcissima, decorata e colorata: guarda che bello, invita gli amici, prendete e mangiatene tutti (…come disse qualcuno). Ma occhio! come per la torta, anche mangiarne troppa può far male, non lo sai? e balenano alla memoria gli avvertimenti in caratteri sempre più grandi e minacciosi sui pacchetti di sigarette: facciamo male, malissimo. Di più, uccidiamo! Ma tu, tu sei grande e vaccinato, no? puoi fare quello che vuoi, quindi fumami.