Magazine Scuola
Negli Stati Uniti vi sono 268 distretti scolastici nei quali l’integrazione razziale non avviene. A svelarlo è uno studio dell’Università di Stanford secondo il quale, da un punto di vista numerico, la desegregazione nelle scuole è andata molto a rilento dal 1954, quando la Corte Suprema di Washington le diede inizio con la sentenza “Brown contro Board of Education”.
Allora infatti i distretti scolastici “sotto sorveglianza” perché in violazione delle nuove norme erano 755 e se oggi, a quasi mezzo secolo di distanza, ve ne sono ben 268 ancora nelle stesse condizioni è per la sovrapposizione di due fenomeni: la mancata apertura di alcuni distretti a studenti di razze diverse e l’inversione di marcia avvenuta in altri distretti, dove invece la sentenza della Corte Suprema era stata adottata e rispettata. Ciò significa che in molte aree degli Stati Uniti studenti bianchi, afroamericani e ispanici continuano a frequentare scuole differenti per una somma di motivi che lo studio di Stanford identifica nella resistenza mentale degli insegnanti, le insistenze dei genitori, le difficoltà di far seguire percorsi “misti” ai bus scolastici che prendono gli alunni sotto casa e le perduranti differenze di redditi che spesso di sovrappongono a quelle razziali.
In particolare, sostiene la ricerca, “i genitori di tutte le razze fanno resistenza” e il motivo spesso è “la vicinanza a casa di scuole razzialmente segregate” ovvero le famiglie afroamericane e bianche, da Chicago a Boston, preferiscono mandare i figli nelle scuole di quartiere - quasi completamente omogenee da un punto di vista razziale- pur di non far affrontare ai figli lunghi percorsi in bus verso altri quartieri delle città. “Non si tratta di una scoperta sorprendente” commenta sul magazine “Atlantic” Michael Petrilli, autore di “The Diverse School Dilemma” perché “abbiamo sempre saputo che i genitori, bianchi e neri, erano i più contrari alla desegregazione”. Ciò che colpisce è come iniziative educative anche recenti come “No Child Left Behind”, lanciata dall’amministrazione Bush e sostenuta da quella Obama, non siano riuscite a indebolire tali resistenze. In ultima analisi la risposta che arriva dalla ricerca di Stanford è che la segregazione scolastica sopravvive per effetto della perdurante segregazione urbana ovvero il fatto che in numerosi centri urbani bianchi, afroamericani e ispanici continuano a vivere in quartieri separati, scegliendo di non mischiarsi.
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Ho pubblicato questo studio, perché è evidente che "il razzismo" esiste in ogni cultura ogni gruppo etnico si percepisce come superiore all'altro e, anche nel caso in cui fosse il reddito a fare la differenza, anche il "povero" pensa di essere superiore al ricco o comunque anche nel caso ci fosse un enorme senso d'inferiorità sarebbe proprio quello a spingere i gruppi sociali verso la desegregazione. In fondo ognuno cerca di mantenere il proprio status e la propria cultura anche se così facendo si rafforzano anche stereotipi e pregiudizi da entrambe le direzioni ( dal basso verso l'alto, dall'alto verso il basso, dal bianco verso il nero, dal nero verso il bianco e così via). Quello che può essere interessante in questo studio é che in fondo questi fenomeni si osservano a molte latitudini del mondo, quindi anche nel nostro paese dove, nonostante i progetti di interculturalità scolastica, i gruppi etnici e culturali rimangono notevolmente distanti e diversificati a dimostrare che non c'è successo scolastico (nel progetto interculturale) se non esiste un progetto di società aperta e multietnica. Basta aprire un giornale qualunque o ascoltare la TV per renderci conto di quanto siamo vittime di certi atteggiamenti, anche quando pensiamo di non esserlo.
Inoltre, la gettizzazione e l'autoghettizzazione (passatemi il termine) sono la via d'accesso a tutte le "etichettature" e definizioni di un determinato gruppo verso se stesso e verso gli altri.
S.F.
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Inviato il 09 dicembre a 11:44
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