Cofferati, Moretti, Picierno. Eletti al Parlamento europeo appena cinque mesi fa. E ora pronti ad abbandonarlo per candidarsi governatori in Liguria, Veneto, Campania. Un vecchio vizio che non muore mai (di Marco Travaglio - l'Espresso)
Pina Picierno, professione Statista
Il 10 aprile, lanciando la campagna elettorale per le elezioni europee di fine maggio,Matteo Renzi fu perentorio: «Le Europee per il Pd sono un voto decisivo per cambiare l'impostazione dell'Ue. Gli italiani devono mandare in Europa persone capaci di riportare l'Italia là dove deve stare. Per questo non cerchiamo candidature di bandiera, ma qualcuno che vada a Bruxelles e ci resti, lavorando in modo determinato e forte».
Al suo fianco le cinque capolista Alessia Mosca, Alessandra Moretti, Simona Bonafè, Pina Picierno e Caterina Chinnici annuivano entusiaste. Le prime quattro erano state elette appena un anno prima al Parlamento italiano: ma di fronte alla missione per conto di Dio di "cambiare l'Europa" erano pronte all'estremo sacrificio di lasciare Roma per traslocare a Bruxelles e Strasburgo.
Ora, dopo appena cinque mesi di presenza decorativa al Parlamento europeo, due di loro lasciano l'Europa senz'averla cambiata e senza esserne state cambiate per candidarsi a governatrici: la Moretti in Veneto e la Picierno in Campania. Chissà se la loro è stata una vocazione improvvisa, o se la covavano già a maggio, quando l'Alessandra chiedeva «votiamo Pd e Pse per cambiare l'Europa» e la Pina prometteva di «cambiare verso all'Europa rendendo le istituzioni più vicine ai cittadini, perché l'Europa che vogliamo noi del Pd è quella capace di tendere la mano, quella che non si volta mai dall'altra parte, quella che restituisce il sogno di un futuro diverso: e in quest'altra Europa noi vogliamo portarci la bellezza del Sud».
Ora vorrebbe portare nel Sud la bellezza di Bruxelles e Strasburgo, peraltro viste perlopiù in cartolina. Idem Sergio Cofferati, anche lui eletto cinque mesi fa eurodeputato e ora aspirante presidente della Liguria dopo una vita trascorsa fra Milano (lavorava alla Pirelli), a Roma (era segretario generale della Cgil), a Bologna (era sindaco). Il 7 maggio, anche lui chiedeva «un voto per cambiare l'Europa». Ora ne chiede un altro per cambiare la Liguria. Sarebbero queste le "persone capaci" che Renzi rifilò agl'italiani, ricevendone un plebiscito di voti (il famoso 40,8%), per «cambiare l'impostazione dell'Ue» e «riportare l'Italia là dove deve stare», non «candidature di bandiera», ma gente che «va a Bruxelles e ci resta lavorando in modo determinato e forte?». Domanda oziosa: il premier più ciarliero della storia su questa questioncella non proferisce verbo. Anche perché lui stesso mollò anzitempo il Comune di Firenze per diventare premier.
E dire che sarebbe ancora per un mese e mezzo il presidente di turno dell'Ue, a cui naturalmente voleva "cambiare verso", anche se nessuno se n'è accorto, almeno lassù. Là sorridono dei soliti italiani che un tempo mandavano a svernare al Parlamento europeo i politici trombati, col contorno di qualche artista sfiatato, e ora vi paracadutano qualche signorina di belle speranze per rifarle il look in vista di altre cadreghe.
Cambiano le Repubbliche (di numero), mutano le ere geologiche (per finta), si passa dai rottamati ai rottamatori, ma siamo sempre i soliti cialtroni che trattano l'Europa come un cimitero degli elefanti, o un albergo a ore, o un trampolino di lancio. Poi ci meravigliamo indignati se i partner cattivi e la stampa estera, tutti anti-italiani, ci dipingono come inaffidabili e poco seri. Ma anche se molti italiani (quasi la metà degli aventi diritto alle ultime Europee) non vanno più a votare.
Cosa devono pensare gli 11 milioni e passa di cittadini (il tanto strombazzato 40,8%) che a maggio han votato il Pd delle Moretti, delle Picierno e dei Cofferati, ora che se li ritrovano candidati a tutt' altre poltrone? Più o meno la stessa cosa che pensano gli elettori delle ultime primarie pidine per i sindaci di Roma, Genova e Palermo: avevano sonoramente trombato Paolo Gentiloni, Roberta Pinotti e Davide Faraone, relegandoli al terzo posto (su tre); ora se li ritrovano l'uno ministro degli Esteri, l'altra ministro della Difesa e aspirante capo dello Stato, il terzo sottosegretario dell'Istruzione, Università e Ricerca. È la meritocrazia della "nuova politica": vincono tutti, soprattutto chi perde.
(di Marco Travaglio - l'Espresso)
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