da qui
Penso che ogni tanto ci si debba fermare: soprattutto stasera, che ho avvertito una frustata nel cervello, e potrebbe venirmi un ictus da un momento all’altro. Forse è arrivato il tempo di dire che dopo vent’anni di servizio a fianco di don Mario, dopo dodici anni di lavoro da prete-infermiere, sono stato completamente scaricato, abbandonato alla sciacallaggine di chi continua a fare i propri interessi senza una particella di pietà per una situazione che va al di là delle possibilità umane. Potrei fare un elenco di nomi, ma mi voglio distinguere da chi ha giocato al massacro dalla prima ora fino all’ultima; voglio dimostrare che l’umanità viene prima di ogni cosa, e che senza di essa tutto il resto è pula portata via dal vento. Ho chiesto tre cose alla morte di don Mario: la costruzione del dormitorio per i senza tetto, oggetto di un suo voto formulato al termine dell’edificazione del Centro di formazione giovanile; il riconoscimento giuridico del Centro stesso, condizione essenziale per la sua sopravvivenza e la sua crescita; il trasferimento della salma di don Mario nella chiesa da lui eretta mattone su mattone e a grande richiesta dei fedeli. Nessuna risposta è stata data. Porto avanti (praticamente) da solo una parrocchia di ventimila abitanti e un Centro giovanile, senza che nessuno si preoccupi che potrebbe prendermi un colpo troppo facilmente. Devo sopportare i franchi tiratori che, invece di offrire un aiuto, malignano sulla destinazione delle entrate; la guerra di quelli che cercano solo un loro spazio, ignorando le esigenze autentiche della comunità; le delazioni di preti senza scrupoli che cercano di mettermi in cattiva luce con la gerarchia; gli attacchi di invidiosi che non capiscono quanta fatica e quanta sofferenza ci sia dietro il cosiddetto “successo” con la gente. Eppure, nonostante tutto, credo ancora nel sogno di don Mario; se lui è passato attraverso le forche caudine delle malattie più disparate, la cattiveria gratuita dei nemici, l’accanimento di chi anche quando cadeva gli sputava addosso, voglio passarci anch’io; voglio credere che alla fine di tutto questo buio ci sia una lama di luce che si chiama vita; voglio dedicare a te, amico, questo mio dolore; voglio farlo per te, neanche per Dio: lui mi perdonerà, come mi ha sempre perdonato.