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A una ragazza

Creato il 12 luglio 2013 da Scribacchina

Piccolo esperimento di fusione tra musica e parola: fate partire il pezzo di Mike Stern qui sotto e leggete, senza fretta, il testo che segue.

Chissà se esistono ancora uomini capaci di scrivere cose del genere.

«Per tutto il viaggio non ho pensato che a te.
Al tuo volto e alla tua figura continua che tu hai sempre. Ma soprattutto, immerso in una nuvola di dolcezza segreta, ho fantasticato e mi sono inebriato a lungo del dono dolcissimo e indicibile che ho avuto da te ieri senza aver osato sperarlo mai. Nei giorni passati tu mi avevi già confuso di cose belle, di doni semplici e meravigliosi, ma ieri tu mi hai donato nella tua intimità dolce e triste il culmine della vita. Mi hai mostrato la grandezza appassionata e rassegnata del tuo sentimento di essere una creatura altissima che vive davvero di sogni e di dolore e hai saputo nei baci, nelle carezze, nella carezza più pura del tuo corpo, colmare di gioia e insieme convincere di rassegnazione il mio cuore. Sei tornata per me quella che per un istante l’odiosità degli altri e la viltà della mia anima avevano oscurato: un fiore di poesia, un fiore delicato e indicibile, pieno di dolcezza e tristezza, datrice di spasimi e di gioie, un’immagine affinata nella bellezza di un sogno, della vita immensa e umile, di tutte le cose più alte.
Mi fai soffrire, divinamente soffrire ancora, al pensiero di te, del tuo passato e del tuo avvenire, ma ora comprendo, comprendo come non mai. Ho sentito sotto la mia guancia battere il tuo cuore profumato e triste e ho compreso con tutta la mia rassegnazione l’altezza della tua anima che sa sacrificarsi così per donare intorno a sé, a un povero poetucolo inetto, tanta dolcezza di poesia, per il solo amore di regalare una cosa buona a un essere tanto triste e tanto fanciullo.

Tu mi hai fatto e convinto poeta, o mia grande bambina.
Prima di te tutte le mie pagine non erano che sfoghi sforzati e tremendi, fulminei, di lunghe sofferenze grige che a un tratto culminavano in una irresistibile potenza di spasimo, o cose morte stentate e sofferte in segreto e con immensa vergogna. Ma ora dopo la tua apparizione azzurra, che fu per me come una grande melodia, colle note gaie e serene dei tuoi capelli biondi, della tua fragilità di sogno, e con quelle più profonde e dolorose dei tuoi occhi spalancati, del tuo viso buono e sorridente della tua povera anima esile ma tanto dolce che rassomiglia solo alla tua voce e a tutta la tua vita… Vedi mi perdo bambina, a pensare e sognare di te.
Ora dicevo dopo la tua apparizione di sogno, la poesia è diventata una cosa sola colla mia esistenza, e ad ogni istante mi fioriscono in cuore tenerezze, scatti, struggimenti e contemplazioni, gioie vivissime e dolori tristi, spasimi, sogni, tutti fusi e vivificati nell’onda struggente di tenerezza che non mi lascia più e mi pare mi consumi lentamente il cuore. Intorno alla tua figura bella si raggruppano tutte queste ebbrezze del cuore, tu sei il loro corpo e la loro forma terrestre, sei il simbolo vivo delle tempeste e delle calme della mia anima e per te sbocciano tutti i miei canti.
Tu sei per me una cosa sovrumana, altissima e inesprimibile, bambina: sei per me la poesia e la vita, la poesia della vita. Vedi quanta gratitudine debbo avere per te. E ieri, ieri, tu mi hai dato nella rinuncia di te stessa i baci e le carezze e le parole di conforto che tu sola sai.
Oh grazie bambina.
Qua ho riveduto i colli fra cui sono nato nella dolce pianura del fiume, piena d’alberi e la terra del largo declivio dolcissimo dove ho scorrazzato e vissuto bambino: ho riveduto i profili delle colline pallidi di lontananza dove bambino ancora, spaziavo lo sguardo col cuore gonfio, e con parole esaltate alla bocca in un’aspirazione struggente a mondi lontani, tanto lontani, dove si viveva soltanto della musica di quelle belle parole d’amore.
Amavo le nuvole in cielo, allora, a dieci anni. Da allora, di anno in anno, sempre più, il cuore mi si è gonfiato e esaltato e ha goduto dei pochi trionfi, e tristemente sofferto con una gioia che altri non trova nemmeno pallidamente nei piaceri più vivi, e sempre si è agitato e contorto, dettandomi talvolta brevi parole della sua sofferenza viva, sconvolgendosi e stremandosi nel buio, piangendo, fino a ridursi tanto stanco tanto stanco da nemmeno più ricordarsi la sua fanciullezza.

E sei venuta tu bambina a riscuoterlo per un istante e a inebriarlo ancora, di quelle parole esaltate, a farlo vivere “soltanto” della loro musica. Come una di quelle nuvole che mi passavano nel cielo, bambina, io ti amo ora, mio esile sogno dagli occhi perduti nei capelli biondi.
Ciascuno dei ricordi più dolci di quella mia fanciullezza, mi ritorna al cuore con una sorpresa di gioia all’immagine presente di te, che ravvivi e fai bella ogni cosa più vile e dimenticata del mio passato.
E da ieri sei divenuta mia, per sempre, mia senza scampo come è mio tutto il ricordo evanescente tremante dei miei primi anni e delle mie lotte buie: tu sei ora la mia grande poesia, quella che mi è nata senza che io sapessi, in questa vasta pianura disseminata di grandi alberi e rinchiusa tra sognanti colline; quella poesia che ora, dopo lunghi anni di attesa disperata, ritrovo in te, chiara e straziante, e travagliata, armoniosa, indicibile e struggente, come te, te sola.
E’ questo bambina, l’amore che io ho per te.
Ma tu non dovrai mai dar cagione di dolore a Lui (tu sai) distruggergli anche un solo sogno per amore di me, per lenire anche di una sola sfitta le tristezze grige della mia anima.
Pensa che, a questo, il mio dolore sarebbe forse più grande del suo. Tu ricordi, tu sai, con quanta dolcezza rassegnata ho cercato di avvicinarmelo, di conoscerlo e farmelo amico. Piangerei di vergogna e dolore fremente se lui dovesse soffrire per noi. Io che ti amo, ti adoro di una passione disperata so quanto sarebbe terribile una rovina così grande. Un colpo di rivoltella. Non altro.
E del resto dopo tutto questo tu potrai dire, con un sorriso, “Bah, i poeti sono sempre stati così, impetuosi, ma in breve si stancano di tutto”. Io non risponderò a questo.
Sono triste triste e tanto vile. Ma credi, tutto quanto ti ho detto è la verità, la verità più pura. Tanto pura e tanto sincera che a scoprirla ho provato una gioia immensa.
Dovrò ancora soffrire tanto nell’avvenire, bambina!
E queste sono le mie sole gioie. Non distruggerle non fare anche tu come gli altri, odiosi».

Cesare Pavese (Santo Stefano Belbo, 17 settembre 1927. Notte)


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