Devo ammettere che l'arte del Cinquecento, pur essendo la più sontuosa e significativa nel panorama moderno italiano, non mi ha mai particolarmente attratto, eppure mi è bastato entrare nella prima sala della mostra per percepire tutto l'orgoglio di cui parla Paola Marini, direttrice del Museo di Castelvecchio e curatrice della mostra assieme a Bernard Aikema, di poter dedicare a Paolo Caliari una mostra nella sua stessa città d'origine. Come ha infatti spiegato la direttrice, l'artista, nonostante fosse figlio di lapicidi veronesi, va considerato «a tutti gli effetti un pittore veneziano».
Conversione della Maddalena (1549-50), dalla National Gallery
A lungo compresso fra le più celebri figure di Tiziano e Tintoretto, il Veronese, come ricorda Aikema, docente presso l'Università degli Studi di Verona, «è spesso stato visto come il decoratore piacevole da vedere, non tanto il pittore di un contenuto e di un messaggio vero e proprio». In realtà ci si accorge fin dai primissimi dipinti in mostra, ai quali è affiancata una ricca esposizione di disegni preparatori, bozzetti e opere da serigrafia che permettono di cogliere aspetti nascosti delle grandi opere, che il Veronese ha tratti e caratteristiche personalissime che, accennate già nelle prime opere, esplodono poi nei capolavori degli ultimi anni, quando l'artista è affiancato dalla bottega, principalmente dal fratello e dai figli.Marte e Venere (1570-75), dalla Galleria Sabauda
La costanza e lo sviluppo dei caratteri tipici della pittura di Paolo Caliari si notano grazie alla successione di sei sezioni in cui si susseguono oltre cento opere divise fra rappresentazioni religiose, ornamenti ecclesiastici, come la Pala Bevilacqua-Lazise di Castelvecchio, dipinti a tema mitologico, fra cui spicca il curioso Marte e Venere, tele di valore poltico commissionate dal governo veneziano, allegorie di interpretazione non sempre facile e ritratti di nobili (e qui il fiore all'occhiello è La bella Nani, rappresentazione della bellezza ideale).L'uso dei colori vivaci e la modulazione del chiaroscuro, ma anche la caratteristica veronesiana delle mani sovradimensionate, appaiono già nella tela del 1549 intitolata La conversone della Maddalena, che colpisce per l'accesa tavolozza e i contrasti fra i verdi, i rossi e gli azzurri e dove già emerge quel rapporto di sguardi autentici che si lascerà apprezzare anche in Cristo e il centurione, prestito del Museo del Prado databile al 1567.
Ritratto di nobildonna veneziana o La bella Nani
(1560 ca.), dal Museo del Louvre
Allegoria del Buon Governo (1551),
dai Musei Capitolini
L'amore disonesto sconfitto (1565-70), dalla National Gallery
Colpisce, nel percorso verso l'ultima sala, il proliferare di figure e immagini che si sovrappongono: lo si avverte già nelle ultime opere della terza sala, strettamente legate alle commissioni del senato veneziano come Il Paradiso, bozzetto di un'opera che avrebbe dovuto adornare il Palazzo Ducale, ma assegnata a Tintoretto dopo la morte del Veronese (1588), che rappresenta l'idea salvifica del governo della Serenissima, o, ancora dall'Allegoria della battaglia di Lepanto. Ma è proprio all'altezza delle ultime opere, eseguite in strettissima collaborazione con la bottega e da essa finite dopo la scomparsa di Paolo Caliari, che le tele si affollano di figure che rampollano le une sulle altre, sia nell'Incoronazione della Vergine (1582), sia nel monumentale Convito in casa di Levi, opera proveniente dalle Gallerie dell'Accademia di Venezia, costituita dall'unione di tre tele e recentemente sottoposta ad un lavoro di pulitura durato oltre un anno.
L'amore virtuoso (1565-70), dalla National Gallery
Perseo libera Andromeda (1560 ca.),
dal Musée de Beaux-Arts di Rennes
Convito in casa di Levi (1588), dalle Gallerie dell'Accademia di Venezia
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C.M.