Poi proseguirono il loro cammino.
Questo è il finale di “Gente Indipendente”, dello scrittore islandese Halldór Laxness. Negli anni Cinquanta vinse il Nobel per la letteratura. Quello che precede la frase di chiusura è una scena dove il protagonista ritrova la figlia (sarà davvero sua figlia?). Tutto è finito, crollato. Il sogno di essere padrone della propria esistenza, della propria terra e di non dover mangiare il pane altrui, è crollato sotto i colpi della sorte. Degli spiriti maligni.
Camminavano mano nella mano, come bambini.
Ecco il finale de “Il concerto dei pesci”, sempre di Laxness. Ancora l’idea del cammino, chissà se ricorre anche in altre sue opere. In italiano esiste solo “L’onore della casa”, e sia questo che quelli citati in precedenza sono editi da Iperborea.
Quello che merita di essere osservato è che in entrambi i casi la narrazione si ferma, i protagonisti continuano a vivere.
Niente colpi di scena anche in questo caso. Di solito si presume che un finale debba essere pirotecnico. Ma persino gli autori che hanno fatto fortuna con i colpi di scena cercano di evitare una soluzione che rischia di sorprendere negativamente il lettore.
Il pericolo è che si senta raggirato perché l’autore non è stato davvero onesto, ma ha nascosto un elemento fondamentale solo per il gusto di dimostrare quanto è bravo.
Alfred Hitchcock era diretto nell’esposizione dei fatti. Mostrava tutto, e poi costruiva la storia sulle informazioni fornite, e condivise con lo spettatore. Non sempre è così, e non può essere la regola fissa e immutabile. Come? Si tratta di cinema?
Però il buon Dostoevskij ha fatto qualcosa del genere. In “Delitto e Castigo” sappiamo chi uccide la vecchia usuraia e sua sorella, siamo lì. Ogni aspetto di quell’evento tragico viene mostrato. Tutto, in un certo senso, è in presa diretta. E non è nemmeno l’unico caso. Tutto è palese, eppure non è possibile abbandonare la lettura.
Non è necessario arrivare al termine della lettura del “Moby Dick” per capire che la faccenda ha preso una precisa direzione, e che ogni cosa andrà male…
Non credo che ci siano delle regole da seguire per chiudere una storia. Anziché spaventarsi di questo, bisognerebbe essere così bravi da scorgere in questo buio impenetrabile che spesso avvolge il finale, l’opportunità unica per realizzare qualcosa di efficace.