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Non la prenderanno bene i riformatori pidiellini che, negli ultimi tempi, avevano guadagnato visibilità e iniziativa, sconfinando nella blasfemia (per il partito più “personale” del panorama politico nazionale) della proposta di primarie per la scelta del candidato a premier. Ovvio che, con Berlusconi, le primarie diventano un orpello inutile. Ma lo scalpitante fronte formattatore se ne farà una ragione. Come Angelino Alfano, il segretario di partito meno influente della storia politica italiana, costretto a correre immediatamente ai ripari per risintonizzarsi sulla nuova lunghezza d’onda: “tanti chiedono al presidente Berlusconi di ricandidarsi. Io sono in testa a questi. Se deciderà di farlo, sarò e saremo al suo fianco”. Parole non si sa quanto sincere. A naso, non tanto. L’investitura sovrana che l’ha collocato al vertice del partito non consentiva margini di manovra, ma la svolta, per come è avvenuta, rappresenta una evidente deminutio capitis. Il messaggio è chiaro: le carte le distribuisce l’uomo di Arcore, che “è” il partito. Gli altri sono semplici comparse, utilizzate dal consumato regista ora per questa scena, ora per quella. Rinviata sine die, pertanto, l’ipotesi di ritagliare per Berlusconi il ruolo di “padre nobile” del partito che sarà, una sorta di allenatore e dispensatore di consigli per le nuove leve politiche.
Determinanti alcuni sondaggi (Euromedia Research) che danno il Pdl moribondo “con Alfano leader e Berlusconi fuori dalla politica” (8-12%); quasi in coma “con Alfano candidato premier e Berlusconi padre nobile e presidente del partito” (17-21%); pimpante in caso di “ticket Berlusconi-Alfano, in campo con un progetto che richiami le origini di Forza Italia e una squadra di giovani dirigenti, in un partito completamente rinnovato nelle persone” (intorno al 30%). È noto che i “suoi” sondaggi sono bussola e vangelo, anche quando non convincono i metodi di rilevamento. D’altronde, quello del “ritorno alle origini” è un fiume carsico che periodicamente riaffiora, sponsorizzato dall’ala forzista e guardato con diffidenza dagli ex aennini. Per gli avversari del Cavaliere, invece, l’annuncio è manna caduta dal cielo. “Prego che non cambi idea”, si lascia sfuggire Beppe Fioroni, presagendo una facile vittoria nella prossima primavera. Un regalo che spinge Casini nelle braccia di Bersani e che provoca anche l’irrigidimento del Carroccio (Maroni: “scende in campo? E dove? A San Siro?”).
Non è complicato comprendere le ragioni del cambio di strategia. Senza il suo vero e unico leader, il Pdl è a rischio estinzione, dilaniato dalle correnti che si sono scatenate non appena l’ex premier ha fatto un passo indietro. Certo, dopo quasi venti anni di assidua frequentazione delle stanze del potere, Berlusconi non può più proporsi come l’imprenditore che promette di replicare al governo del Paese i successi ottenuti da privato cittadino, sbaragliando una volta per tutte politici di professione e teatrino della politica. Ma in questa fase prevalgono le ragioni del “primum vivere”. Anche perché il futuro è ancora emergenza economica da affrontare con l’attuale formula di governo grancoalizionista, Monti o non Monti. Per giocare ancora un ruolo, Berlusconi ha bisogno di tenere salde le redini del partito e sperare in un buon risultato elettorale, per poi sedersi al tavolo delle trattative (giustizia, Quirinale) da una posizione di forza.
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