selezione di quadro e poesia di Virginia Como
Non chiamarmi, non dirmi nulla,
non tentare di farmi sorridere.Oggi io sono come la belvache si rintana per morire.Abbassa la lampada, copri il fuoco,che la stanza sia come una tomba.Lascia ch'io mi rannicchi nell'angolocon la testa sulle ginocchia.L'ore si spengano nel silenzio.Salga in torbide onde l'angosciae m'affoghi: altro non chiedoche di perdere la conoscenza.Ma non è dato. Quel volto,quel riso l'ho sempre davanti.Giorno e notte il ricordo m'è uncinoconfitto nella carne viva.Forse morire io non potròmai: condannata in eternoa vegliare il mio strazio in me,piangendo con occhi senza palpebre.
("Anniversario" di Ada Negri)
Le parole dell'abbandono sono le più lussuose per la vita di chi ha impegni e doveri e chi non riconosce l'abito dell'egoismo come consono. Ma ci sono torri che si salgono faticosamente, giorno giorno, gradino per gradino, arrotolandosi su scale impervie per raggiungere la cima, ci sono torri che sembrano finire all'altezza del cielo, e le nostre gambe stanche trascinano i piedi che inciampano sul filo degli scalini.Ci sono delle salite che prevedono anche sacchi pesanti da potare sulle spalle, oltre che il peso di ciò che portiamo dentro. Il peso dei sacchi facilmente ci sbilancia all'indietro, un precario equilibrio ci immobilizza un istante, potrebbe trascinarci all'indietro, rendendo vano lo sforzo impiegato. Poi un controsforzo, una spinta sfiancata in avanti la testa abbassata a far da contrappeso e la salita riprende, senza riposo, senza un vero traguardo. Arrivati in alto, se in alto si arriva, si posa il sacco terra con un tonfo, un momento di apparente leggerezza si spalma sulle spalle. Poi si apre il vuoto davanti a noi. Il vuoto che non ha peso e spazi, ne scale ne gradini. Vento sul viso, carezze di libertà dai dolori. Un passo ancora, un piccolo scivolato passo leggero, verso il riposo dell'aria.