Abbiamo raggiunto la parità, sembriamo uomini

Creato il 08 marzo 2013 da Tabulerase

Nella giornata internazionale della donna, ogni anno, si fa il punto sulle conquiste sociali, politiche ed economiche delle donne che hanno da sempre dovuto lottare per veder riconosciuto pari dignità e diritti rispetto all’uomo.

Ancora oggi, infatti, in tutto il globo terrestre, le donne, subiscono delle discriminazioni. In Asia la maggioranza dei genitori preferisce i figli maschi alle femmine. Un rapporto dell’ONU stilato nel 2011 rivela che in quella parte del mondo, secondo le stime, mancano all’appello quasi 134 milioni di donne a causa di aborti, infanticidi e negligenza. Oltre 2,6 miliardi di donne vivono in paesi in cui lo stupro coniugale non è ancora considerato un reato.  A causa della discriminazione di genere, le bambine hanno minori probabilità di andare a scuola: nei Paesi in via di sviluppo, quasi una bambina su 5 iscritta alla scuola primaria non completa gli studi. La violenza fisica registra anche il crudele fenomeno delle mutilazioni genitali subite da 130 milioni fra donne e bambine, mentre è più elevato il rischio contagio Hiv per le donne. Le cause di tanta violenza e disparità di genere sono ormai da qualche tempo ai più conosciute, sono religiose e culturali. Non voglio qui soffermarmi però ad analizzare in modo analitico, storico, sociale e psicologico il perché. In tanti oggi si eserciteranno in dissertazioni fiume.

 Vorrei invece testimoniare il mio pensiero su ciò che ritengo il punto essenziale. Il “male” per la donna non è rappresentato solo dall’uomo che certo ha avuto e ha tante responsabilità ma soprattutto, negli ultimi decenni, il peggior nemico della donna è stato la donna.

La donna che ha scelto di combattere la sua battaglia, vestendo i panni dell’uomo ha secondo me perso già in principio. La conseguenza, di ciò, sta nella constatazione che chi ha conquistato lo scranno, simbolo del potere, ha perso o almeno offuscato l’essenza dell’essere donna sia nella semplice essenza estetica e sia nell’essenza della battaglia intellettuale. Intendo, per esempio, le iniziative di genere che hanno finito col considerare le donne oggetto di scelta speciale e a prescindere, trasfigurando secondo me il focus del problema. La rivendicazione delle quote rose è frutto di un pensiero debole che fa dell’esigenza di quantità e di forza un errore, sì, di genere maschile. Anche nella recente campagna elettorale italiana molti uomini si sono esibiti in battaglie verbali su chi, se avesse vinto, avrebbe portato più donne in parlamento o avrebbe designato nel proprio governo più donne ministro. La quantità, quindi, è il discrimine; sì certo, i paesi in cui le donne sono al vertice della società si contano sulle dita di una mano ma se vogliamo invertire lo status quo, occorre sovvertire il modo di ragionare, altrimenti cambierà solo l’ordine dei fattori. La vittoria, però, sarà definitiva se cambierà nell’essenza il risultato, non attraverso qualsiasi mezzo; perché la forma veste il contenuto e una forma sporca compromette il fine.

Tante sono le donne, oggi, che hanno acquisito il peggio degli uomini, avvalorando così una supremazia maschile, snaturando la peculiarità di genere che in realtà si vorrebbe preservare, facendola passare invece come un valore e discrimine tra una femmina e una donna, “Questa sì che una donna!”, sento, sempre più spesso, dire dalle donne stesse con l’occhio sognante e il desiderio, un giorno, di arrivare a essere così: forti.

Tante sono le donne che urlano come gli uomini, tante sono le donne che vestono come gli uomini, tante sono le donne che non piangono più, tante sono le donne che non riescono più a dire una parola dolce ma solo espressioni aspre.

Qualcuno obietterà, ma queste donne però hanno ottenuto la parità, è vero, sembrano proprio uomini.


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