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Abdolah: «Così persi la patria e il nome, ma non la speranza»

Creato il 18 ottobre 2010 da Andreapomella

Abdolah: «Così persi la patria e il nome, ma non la speranza»Unione Sarda, 17 Ottobre 2010 – Il suo ultimo romanzo, Il messaggero (Iperborea), nella sola Olanda ha venduto 150 mila copie. In Italia lo scorso anno si è aggiudicato il Grinzane Cavour. Kader Abdolah, esule iraniano, rifugiato politico in Olanda dal 1988, narratore, ha negli occhi una storia di lotte contro l’oscurantismo e l’oppressione. Il suo nome è in realtà uno pseudonimo adottato in memoria di un compagno di lotta assassinato dal regime degli ayatollah. «A dire il vero ho quasi dimenticato il mio vero nome», racconta. «Sono costretto a ricordarmelo solamente quando me lo chiedono all’aeroporto. Ma va bene così, perché usando questo pseudonimo ho creato un nuovo scrittore». Tra le sue opere più importanti vanno ricordate Scrittura cuneiformeLa casa della moschea , dove l’incontro tra Persia e Occidente, la nostalgia della memoria, i modi dell’epica e della novella fiabesca, legano passato e presente di una terra tragica e affascinante.
In questi giorni Kader Abdolah è a Cagliari, tra gli ospiti di punta del Festival Tuttestorie, per parlare al pubblico italiano dei suoi temi preferiti. Dell’Islam: «È una religione che ha un carattere diverso da paese a paese, che tende ad integrarsi con le culture e le tradizioni che trova. Ogni nazione dovrebbe creare il proprio Islam. Voi italiani, per esempio, dovreste plasmarlo con le vostre mani, non delegarlo agli Imam ma farlo insieme a loro». Dei movimenti xenofobi sempre più forti in Europa: «L’estremismo è un fenomeno del tutto naturale. Prima di tutto esiste la paura per chi viene da lontano, e questo è un fatto che va accettato, dopo di che occorre prendere delle misure per arginare l’intolleranza, e per farlo occorrono risposte politiche». E ancora del disorientamento di un uomo che si è ritrovato catapultato dall’Iran khomeinista all’Olanda dove tutto è permesso, esperienza raccontata nel romanzo Il viaggio delle bottiglie vuote : «Non volevo lasciare la mia patria. Volevo essere uno scrittore in Iran, è sempre stato il mio sogno fin da bambino. Quando mi sono ritrovato in Olanda pensavo che questo sogno si fosse frantumato, che fosse la mia morte di scrittore». Poi lo studio intenso del nederlandese, che diventa la sua lingua letteraria, una lingua che si arricchisce di poesia e di suggestioni provenienti dalla tradizione persiana, e che segna la sua rinascita.
Quando la conversazione si sposta sull’Iran di Ahmadinejad, però, si irrigidisce: «Gli estremisti tengono in ostaggio il popolo iraniano», dice con un tono di voce inflessibile, mentre muove le dita nervosamente sulla tazza del tè. «È un incubo senza fine, specialmente per le donne e per i giovani. Gli estremisti hanno reso scura e amara la vita in Iran. Però la cultura persiana è vivace ed energica e i miei connazionali sapranno superare questo periodo buio, dovesse durare cinquant’anni».
Le persecuzioni a cui hanno sottoposto lui e la sua famiglia, la clandestinità prima e l’esilio poi, non hanno mai minato la sua fiducia nella letteratura: «È l’unico rimedio che abbiamo per aiutare le persone nei periodi difficili della loro vita. Io non sono un credente, ma so che i libri sacri, tanto la Bibbia, quanto la Torah e il Corano, ci insegnano che Dio ha lasciato qualcosa di sé nell’uomo quando l’ha creato. Questa è stata la parola. In questo senso la letteratura è opera di Dio, rende la gente felice e dà senso alla vita».

ANDREA POMELLA


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