Mi sembra che tutti facciano dei passi in avanti, tranne me.
Percepisco il tempo che passa. Scorre e tutti si muovono di conseguenza. Soltanto io resto ferma. Mi blocca il ricordo di qualcuno che è andato via. O forse, la speranza di qualcosa che neanche io so. E mi restano solo la rabbia e l’incapacità di scegliere: mi si incollano alle dita e non riesco a togliermele di dosso, tanto è il dolore. Rimango immobile sul ciglio delle mie emozioni e non posso far altro che guardare gli altri che vanno avanti e lo fanno con una naturalezza che mi prende a calci in faccia.
C’è un modo di dire. Lui è diventato una parte di me. Ma, per me, non è proprio un modo di dire. Da quando lui non c’è più, io sento un vuoto proprio a destra dello stomaco, come se mi avessero asportato un organo vitale. Un vuoto che mi affatica il respiro e mi piega in due dal dolore.
Ci sono delle cose di lui che mi mancano. Cose per cui provo imbarazzo, perché mostrano la mia fragilità e quanto io sia sciocca. Mi manca guardarlo dormire, ad esempio. Mi bastava osservarlo respirare accanto a me. Guardare le ciglia folte a incorniciargli le palpebre chiuse. Soffermarmi sulle sue labbra carnose e immobili. Soppesare l’idea di essere finalmente arrivata in un posto tranquillo, in cui poter restare, e che quel luogo fosse lui.
E’ proprio questo ricordo – di lui che mi dorme accanto e che di lì a poco si sarebbe svegliato e mi avrebbe guardata come se fossi l’unica altra persona al mondo – che non mi fa andare da nessuna parte.
Ho il terrore che, con il passare del tempo, torneremo ad essere due estranei – come era prima che ci trovassimo, che lui mi trovasse - e io non potrò più guardarlo dormire. Ho paura perché, in questo, io perdo sempre. Ho pensato che, se resto ferma, magari la fine impiegherà un po’ più tempo a mangiarci vivi.
No, non mi muovo d’un passo.