Luino e questa sua piccola frazione dolcemente tormentata dalla risacca tranquilla del pomeriggio. Il lago e quella striscia di luccichii dorati dell’ultimo sole. L’hotel dove questa notte dormiranno i ragazzi BMC ha le persiane azzurre e i muretti antichi che ascoltano il respiro dell’acqua da chissà quanto tempo.
Trovo Silvan Dillier seduto ad un tavolino con Valerio Piva e Fabio Baldato, i suoi DS. Lo saluto, gli dico che ho trovato un po’ di traffico, forse sono in ritardo. Lui sorride, mi stringe la mano e si alza. Entriamo insieme nella hall, cercando un posto tranquillo dove parlare di lui, di questo Giro. La sala da pranzo è deserta e sembra immersa nell’azzurro del lago. Qualche tavolo è già apparecchiato. Noi ci sediamo ad uno vuoto. Arriva un cameriere, ci chiede se vogliamo dei drink, qualcosa da bere. No, rispondo io sorridendo, dobbiamo fare un’intervista. Forse ci ha scambiati per due clienti e qui è facile: sembra di essere in vacanza.
Guardo Silvan: i suoi occhi grigio azzurri sono ancor più chiari, quasi dorati, con questo sole che entra dalle vetrate. Gli chiedo come sta. Bene, mi risponde. Questa tappa da Tirano a Lugano è stata corta e senza troppi stress.
“Sono molto contento di correre un Grande Giro per la prima volta, è davvero speciale. E’ tutto nuovo per me. Forse è un pochino stressante ma è bellissimo.”
Lo dice con naturalezza. E’ la sua prima volta, eppure Silvan sembra avere sempre una grande destrezza nell’affrontare le situazioni giorno per giorno. “Siamo una grande squadra” spiega. “E ho attorno dei bravi ragazzi, sia in corsa che nella quotidianità dei trasferimenti, degli alberghi. Siamo venuti al Giro per fare bene, anche per lottare in classifica generale e soprattutto per centrare le tappe.” Sorride, forse pensa alla vittoria di Gilbert sotto l’acquazzone di Vicenza, proprio come se fosse il Cauberg.
Ma io voglio sapere di lui e gli chiedo della sua fuga durante la tappa dell’Abetone. “Abetone…” risponde, “Era il quinto o il terzo giorno? Il quinto, vero? La prima settimana ero fresco, naturalmente, mi sentivo bene ed è stato bello essere nella fuga, soprattutto perché al Giro è qualcosa di totalmente differente: sei in televisione e ti vedono milioni di persone, ci sono i social, c’è tutto questo movimento mediatico attorno. E’ davvero speciale.”
Speciale. Lo ripete spesso. Fare il ciclista non è decisamente un lavoro come un altro, soprattutto ognuno ha il suo modo di affrontare questa vita. Silvan sorride quando gli chiedo se la bicicletta, in qualche modo, lo ha trasformato o lo trasforma ancora adesso. “Sicuramente la bici ti cambia” dice. “Cominci a pedalare da junior, lo fai per divertimento, per goderti la vita, anche per andare a scuola. Poi, quando diventi professionista, il ciclismo diventa la tua vita. Tutta la tua vita. Nascono nuovi obiettivi e impari a concentrarti su quello, sulle cose importanti. Pensi a stare bene, a mangiare bene. Che poi sono fortunato perché mi piace molto l’ insalata, condita in tutti i modi possibili. E anche la frutta. E’ il mio cibo preferito assieme alla pasta: se c’è tanta pasta io sono contento!”
Ride.
Il lago è ancora azzurro intenso e fa ancora molto caldo per quel sole che entra dalle vetrate. Ci spostiamo su un altro tavolo, all’ombra questa volta. Il meteo prevede ancora bel tempo per il giorno dopo e Silvan alza le spalle, sorridendo: spera che abbiano ragione.
Gli chiedo di Imola. Dopo quella tappa aveva scritto un tweet dicendo che sulla pista si era sentito come una macchina di F1. Con un motore rotto.
Lui sorride e spiega che è stato bello pedalare nel circuito perché è così diverso e strano rispetto alle strade e agli arrivi normali. “Ma la salita” dice, “era troppo dura, perciò sono finito nel gruppetto” e fa un gesto scherzoso con la mano. Son curiosa di sapere se segue l’automobilismo ma lui dice che no, in genere le domeniche ha sempre le corse e non è mai a casa perciò non potrebbe neanche avere occasione di seguire i Gran Premi.
“Poi” aggiunge, “I giorni liberi cerco di trascorrerli con gli amici, non in casa. Mi piace uscire con loro. Ma non è così facile. In genere il mio giorno libero è il lunedì, quando loro lavorano. Perciò, magari ci incontriamo di sera. E stiamo assieme, chiacchieriamo, beviamo una birra.”
Questa vita da pro non è poi così semplice da incastrare nella normalità altrui. La scegli perché è la tua, la senti dentro ma devi accettare un patto: ciclista lo sei sempre. “Ventiquattro ore su ventiquattro” dice Silvan. “Da quando mi alzo la mattina penso a quanto mi devo allenare, a quello che posso o devo mangiare, a controllare il mio peso e a tante altre cose. E anche la sera, quando esci a bere qualcosa sai che non puoi andare oltre, non puoi tornare a casa ubriaco.”
Ride e poi indica il lago là fuori. “Invece, uno dei motivi per cui amo il mio lavoro è questo: avere la possibilità di vedere posti bellissimi. A volte, negli alberghi, ci sono SPA o piscine ed è un modo per staccare dalla fatica, dallo stress della corsa. Cerco di godermi la vita in ogni momento, il più possibile; mi piace la quotidianità con i ragazzi della squadra che non sono solo colleghi ma anche amici.”
Silvan è un golden boy. Uno dei sei ragazzi BMC che l’anno scorso, a Ponferrada, ha conquistato l’oro nella prova della cronometro a squadre. Sul retro del loro bus c’è la foto di quel momento: sei compagni che mordono la medaglia sul gradino più alto del mondo. Un’emozione che non si dimenticherà.
Lui che con le prove contro il tempo ha sicuramente un feeling particolare.
“Vado abbastanza bene nelle cronometro ma non mi sento affatto uno specialista” dice. E’ umile. E questa è una gran dote per un corridore. “Mi piacciono le crono corte, così posso avere più benefici possibili dal percorso. Ultimamente stiamo imparando molto come squadra in questa disciplina, come gestirci e come poter migliorare. E’ una crescita continua.”
Di Silvan mi colpisce sempre il suo modo di fare i rulli. Glielo dico ma lui forse non ci crede che ha un’attitudine speciale e inconfondibile. Concentrato e quasi perfetto, come se quella fosse gara vera e non allenamento nel niente. E senza cuffie per la musica. Quando gli chiedo il perché di questo particolare, sorride e mi spiega: “Mi piace sentire quello che succede attorno, le voci, la gente. E poi mi focalizzo sul mio SRM e mi riscaldo. Come sempre. Mi focalizzo su me stesso, semplice.”
Deve avere una grande padronanza del suo equilibrio tra corpo e mente. Guardando il suo profilo chinato verso le braccia immobili sulle appendici, con gli occhi chiusi, giureresti di saperlo in un’altra dimensione. Invece gli piace sentire i suoni attorno a lui. Li sente e allo stesso tempo si concentra su sé stesso. “Non sono una persona complicata” dice. “E non sono un maniaco dei dettagli, preferisco concentrarmi sulle cose importanti. Sono del parere che guardando troppo le piccole cose si rischia di perdere di vista quelle grandi, l’obiettivo, insomma.”
Pensare a dopo. E’ strano per noi che non siamo abituati a preoccuparci della condizione, di tenere sotto controllo tutto. Ciclista è ciclista sempre. Mentre pedali su una strada, pensi già a quella che percorrerai domani. Presente e subito futuro. Di questo, del futuro, Silvan non mi parla e forse è anche giusto non saperlo. Io credo che sia un ragazzo che la gente ancora deve scoprire fino in fondo. Per ora, lui che è entrato nel mondo dei professionisti da due anni e mezzo, continua a guardare tutto con l’entusiasmo delle prime volte. E questo è un vantaggio. Perché nel ciclismo servono le gambe ma anche l’anima: la passione viene tutta da lì e forse il segreto è averla sempre nuova.
Quando gli chiedo se ha un numero fortunato lui risponde di no. Non ha nessun genere di scaramanzie. “Però” puntualizza, “anche se qui al Giro sono il 46, un numero che mi piace è il tre. Perché il mio cognome inizia con la D e spesso negli elenchi e nelle liste dei corridori del team sono il terzo.”
Piccole cose che a Silvan, probabilmente, non interessano. Da qualche parte ho letto che percorrendo la strada si dovrebbe tenere sempre lo sguardo fisso all’orizzonte, così è più facile arrivarci.
Silvan che tiene i suoi occhi grigio azzurri fissi al suo orizzonte, ragazzo beat che adora la pasta, la birra con gli amici e cerca di godersi la vita fino in fondo. Silvan che mi stringe di nuovo la mano nella luce di un lago sempre più blu e sale in camera per affidarsi al massaggiatore. Domani è un altro giorno e lui continuerà a pedalare come ha fatto fino ad ora, anche meglio. Sempre senza cuffie perché, in fondo, ha ragione: la musica migliore che possiamo ascoltare è attorno a noi.
Mentre viviamo.
GRAZIE a Silvan Dillier e a Sean Weide per l’infinita gentilezza e disponibilità.
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