Accabadora
Titolo: Accabadora
Autore: Michela Murgia
Editore: Einaudi
Pagine: 200
Prezzo: € 15,30
Pubblicazione: maggio 2009
ISBN: 978-88-0619-780-3
Valutazione Libri Consigliati: imperdibile.
Quando non riesco a staccarmene “fisicamente” e me lo porto dietro ovunque vada, in giro per la casa, in ufficio (sperando in una pausa caffè solitaria), a far coda in Posta e sui mezzi pubblici, quando con una mano accudisco il ragù e con l’altra lo tengo ad altezza d’occhi, il fatto è certo: di quel libro mi sono innamorata. Proprio quanto mi è successo con Accabadora, lo splendido romanzo di Michela Murgia pubblicato nel corso del 2009, che ha giustamente ricevuto ampi consensi di critica e lettori, oltre ad aggiudicarsi il Premio Campiello 2010.
Per farsi amare in questo modo, legandomi a sé per un tempo che va oltre quello della lettura, un libro deve coinvolgermi su diversi fronti, possedere qualità specifiche, portarmi via dal qui e ora. La trama, sicuro, un plot affascinante, e poco conta che si parli di avventure spaziali o di fatti quotidiani, di personaggi fuori dal comune o di gente ordinaria: serve la giusta cifra di cuore e cervello. E ritmo, che sappia convincere il mio respiro a seguirlo, e che sappia imitare il respiro del mondo che descrive. Un tono adeguato ai fatti narrati e all’epoca in cui si svolgono, che risulti solenne e pure leggero, che sposi le cadenze tradizionali a quelle moderne, le dinamiche poetiche a quelle di una prosa precisa, di grande nitore. Personaggi nei quali ti rispecchi per analogia di anima e vissuti, o dai quali ti scosti con un no deciso, perché comunque veri, tangibili, tanto che se li incontrassi per strada sapresti riconoscerli a prima vista. E la percezione sicura di chi sta dietro a tutto ciò – l’autore – come qualcuno che ha fortemente desiderato di porti tra le mani un libro onesto, tanto a livello letterario che umano, un prodotto curato nei minimi dettagli affinché giungesse a te con tutta la sua forza e la sua bellezza.
Accabadora, appunto, possiede tutti i requisiti necessari per risultarmi un libro imperdibile. Ambientato nella Sardegna rurale degli anni ’50, racconta la storia di Maria, dall’infanzia alla giovinezza. Ultimogenita di quattro sorelle, rappresenta per sua madre non tanto una figlia da amare, quanto piuttosto un problema, un’ulteriore bocca da nutrire, “l’errore dopo tre cose giuste”. Tzia Bonaria, una donna del paese piuttosto benestante, non più giovane, mai stata sposa sebbene insista a professarsi vedova di guerra, la osserva e coglie nella piccola i segni precoci di un disagio e di una mancanza di amore che la spingono a rubacchiare nella bottega, a chiudersi grado a grado in un mondo solo suo. In rispetto a una antica tradizione locale, e animata da una percezione di reciproca appartenenza, Bonaria chiede e ottiene di adottare Maria, e di portarla a casa con sé.
Ecco che le due, giorno dopo giorno, costruiscono un rapporto particolare, fatto di rispetto, di amore pudico e di regole dettate con fermezza, ma senza che mai manchino la tenerezza e la sincerità. Maria cresce serena, senza più privazioni affettive e materiali, frequenta con profitto la scuola, sboccia piano alla vita, nella consapevolezza che Bonaria, pur non essendole madre naturale, a maggior ragione è sua madre davvero, perché da lei è stata scelta come fill’e anima. Bonaria, dal canto suo, la istruisce sull’esistenza e sulla gente, le insegna a cucire, le racconta di sé e di come funziona il mondo, la sprona a pretendere molto da se stessa.
“Tutt’a un tratto era come se fosse stato sempre così, anima e fill’e anima, un modo meno colpevole di essere madre e figlia.”
La formazione di Maria, però, potrà dirsi completa solo quando, ormai ragazza, scoprirà che Bonaria è un’accabadora, e cioè colei che pone fine alle sofferenze dei malati terminali, una sorta di ultima madre per chi invoca la pietà di una morte liberatoria, di Vergine dei Dolori e nel contempo di Madonna che sconfigge il Male schiacciandolo sotto il piede.
Scritto con un linguaggio essenziale e preciso, poetico e pure concreto nel dipingere personaggi e ambienti, fluido di costruzioni sintattiche e forte di un ritmo che non cede di un passo, di una capacità di osservazione lucida e senza giudizio, Accabadora ti trasporta in un mondo particolare, tangibile e nitido tanto da poterlo annusare, sentire addosso, comprendere. La Sardegna degli anni ’50 si presenta al lettore in tutti i suoi colori e sapori, nelle sue tradizioni e consuetudini, nelle sue credenze e nelle modalità corali. Ti sembra di essere lì, a preparare i biscotti e il pane per gli sposi, a cucire asole accanto al fuoco, a litigare per un metro di terra, a vegliare un morto o ad abbassare gli occhi se un uomo ti guarda in un certo modo. E a tacere, se ti accorgi di aver fatto la domanda sbagliata.
Isola in tutti i sensi, la cui lontananza geografica dal continente diviene metafora di una distanza culturale e sociale, la Sardegna è il luogo in cui adottare un bambino è pratica che non necessita di burocrazia, ma solo di anima (paradigmatica, in questo senso, è la scena in cui Bonaria incontra la maestra di Maria – arrivata dal Piemonte – e l’una non riesce a comprendere lo stupore dell’altra circa la faccenda dei fill’e anima, “i bambini generati due volte, dalla povertà di una donna e dalla sterilità di un’altra”). Ed è culla e ostensorio di una tradizione orale di grande impatto emotivo e suggestione: filastrocche, antichi adagi, formule sacre e popolari.
In questo senso, è stato prezioso e interessante incrociare la lettura di Accabadora con quella di Dìri dìri dànna (litania stolta del diritto e rovescio) (Liberodiscrivere, 2006), opera in versi di Rita Bonomo, autrice che con Michela Murgia ha in comune le origine sarde, e di cui consiglio vivamente di far esperienza. Come l’autrice stessa suggerisce, il dìri dìri danna è una nenia insolita, di mnemonica etnia, presa, all’ora dei pasti, per bocca. Nel suo scrivere musicalissimo – tanto da essere cantabile, il teatro si fonde con un’esperienza fisica del ritmo, e le esperienze personali non sono mai disgiunte, nel senso e nel suono, dalle cadenze della tradizione territoriale, come per esempio nell’Elegia del gene:
“Osanna
Nell’aborigeno mio cielo
il mio cielo è tronco d’ali e reti
eppure impigliata -resta- questa genia.”
Silvia Longo per Libri Consigliati
L’AUTORE
Michela Murgia
Michela Murgia è nata a Cabras nel 1972. Nel 2006 ha pubblicato con Isbn Il mondo deve sapere, il diario tragicomico di un mese di lavoro che ha ispirato il film di Paolo Virzì Tutta la vita davanti.
Per Einaudi ha pubblicato nel 2008 Viaggio in Sardegna. Undici percorsi nell’isola che non si vede e nel 2009 il romanzo Accabadora, vincitore del Premio Campiello 2010. Il suo sito web è www.michelamurgia.com (note biografiche tratte dal sito Einaudi www.einaudi.it).