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Acqua di mafia

Creato il 04 maggio 2010 da Casarrubea
Acqua di mafia

Una veduta della diga (foto Casarrubea)

Al di là delle mode e delle apparenze l’Italia cammina come il gambero. Gli esempi si colgono dovunque e noi, nel nostro piccolo, ne abbiamo da vendere. Siamo un Paese ad alta concentrazione di analfabeti e Partinico, dove sono nato, ma non cresciuto, è uno degli esempi più vistosi. Qui ci sono quelli che sconoscono persino le lettere dell’alfabeto, i “puri”, e ci sono gli altri che sanno mettere solo la propria firma, o che scrivono qualche parola copiandola, o leggono male o, pur leggendo, non capiscono. Per non parlare degli aspetti verbali della comunicazione che hanno reso diffuso il riferimento agli ignoti “tre compari sordi”.

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Qui la disoccupazione è in continua ascesa e cammina di pari passo con i sempre più alti livelli di acculturazione che pure esistono in percentuali significative. Un paese abbandonato da Bruxelles, da Roma e da Palermo dove, come ebbero a scrivere gli americani quando ci misero piede per ‘liberarlo’,  non ci sono mezzi pubblici di comunicazione. Ancora oggi  alla stazione ferroviaria, che dista 3 chilometri dal centro urbano, bisogna andarci a piedi o con un mezzo di fortuna e per raggiungere l’aeroporto che ne dista venti, occorre prendere il taxi, o disturbare qualche anima pia. Per farsi ascoltare la gente deve gridare e alza sempre il volume: della televisione, della radio, dei cellulari, delle musichette che arrivano dall’etere fin dentro i timpani, scassandoli.

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Giornali e libri si leggono in una percentuale irrisoria e, naturalmente, non ci sono librerie (tranne quelle scolastiche convenzionate con il Comune, per il cosiddetto “buono libri”, finanziato dalla Regione Sicilia a ogni inizio di anno scolastico). Insomma l’emarginazione dal consorzio civile delle altre pur vicine città, come Alcamo, è evidente e nessuno che abbia il cervello a posto starebbe in un paese come questo dove ancora si deve fare l’Unità d’Italia,  mentre Bossi parla di federalismo e secessione. A stento le classi dirigenti siciliane riescono a scimmiottarlo ricorrendo all’unica idea che sanno mettere in cantiere: la ‘milazziata’. Bisogna fare fatica e resistere per non finire come chicchi di caffé dentro il macinino. Aggiungi l’inquinamento della  lady alcool,  ossia la Bertolino, la più grande distilleria d’Europa, la crisi economica che va a gonfie vele e una certa non indifferente incidenza dei mafiosi locali che ogni tanto si svegliano e ammazzano o fanno sparire qualcuno.

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Siamo nel pieno della crisi dei medi centri della provincia di Palermo. A Partinico il Consorzio di bonifica Palermo 2 licenzia dodici operai e non provvede alla manutenzione delle condotte di canalizzazione che portano l’acqua alle campagne. Si rischia un’estate di sete e di buttare a mare cinquant’anni di storia che hanno al  centro le lotte di Danilo Dolci e il suo paziente sforzo di educazione allo sviluppo. A Termini Imerese, Marchionne chiude l’intera fabbrica e  manda a casa un’intero paese che da decenni vive di Fiat e del suo indotto. A Bagheria la mafia fa i suoi affari e la caduta dei valori rispetto ai tempi di Ignazio Buttitta e  di Renato Guttuso è verticale.

Qui ormai la gente è abituata a camminare con i piedi per l’aria.  Altrimenti è visto come capovolto, all’incontrario e tutti si stupiscono. Nulla è cambiato dai tempi di Danilo. Aveva strane idee per la testa questo nostro amico e per il solo fatto che si accompagnava talvolta con alcune sue collaboratrici venute chissà da dove, s’era fatta la nomea di un puttaniere e di un diffamatore. Tanto che persino il cardinale Ernesto Ruffini, di costumi castigati e di tempra antica,  lo indica tra i peggiori mali presenti in Sicilia in quel tempo. Gli altri sono il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa e la mafia.  Dolci arriva con alcuni spiccoli in tasca, forte dell’esperienza di don Zeno a Nomadelfia.  Partito dal Nord piomba in questo vuoto assoluto, dove galline, conigli e porci coabitano in una stessa stanza, con il mulo attaccato in un angolo.

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Acqua di mafia

Dolci nel quartiere di Partinico "Spine sante"

Si chiude in una casa senza finestre a Spine Sante, in via Iannello, oggi cadente e senza traccia della sua presenza, e comincia a digiunare. E’ il primo sciopero della fame dopo quelli ai quali era ormai assuefatto il mahatma Gandhi. Un bambino vi era morto per fame perchè non aveva più la forza di succhiare il latte quando qualcuno ebbe la possibilità di procurargliene un pò. Nel quartiere i pazzi sono rinchiusi in casa in apposite celle sotterranee e non sono pochi quelli che sostengono che se uno subisce un torto è giusto rispondere eliminandone fisicamente la causa. La gente ha una fame atavica, tale che forse si può leggere anche nel suo codice genetico.

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Frutto di queste esperienze allucinanti sono i Racconti siciliani e le Conversazioni a Spine Sante. E’ qui che negli anni ’50, dopo centinaia di riunioni con i braccianti e i disoccupati nasce l’idea della diga sullo Jato. Prima le coltivazioni erano seccagne, e per avere l’acqua bisognava raccomandarsi ai mafiosi locali. Non è una passeggiata avere acqua democratica per tutti. Quando nasce la cooperativa raggiunge presto i 3500 iscritti. La cooperativa esiste ancora ed è presieduta da Pino Lombardo, ex consigliere provinciale. La difende con le unghia e con i denti. Lui, della razza di quei vecchi democristiani conservatori che rappresentavano la borghesia agraria tipica della piana, è forse l’altro miracolo compiuto da Danilo.

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Il conflitto tra Consorzio di bonifica Palermo 2 e cooperativa è aperto. I produttori e gli operai  che in base a una norma barbina nessuno più paga, non difendono solo la loro acqua. Difendono un modello. La cooperativa voluta da Dolci e costruita giorno dopo giorno dalla fatica di un intero paese, non è un oggetto con il quale i signori dei palazzi palermitani possono mettersi a giocare. E’ il segno tangibile di un grande insegnamento: il lavoro concepito come diritto costituzionale, indispensabile all’essere umano. E Dolci, al quale Partinico non ha mai dedicato una statua, una via, un luogo pubblico, meriterebbe la precedenza assoluta nelle richieste di beatificazione che i padri postulatori delle cause dei santi avanzano di continuo, senza discernimento alcuno, al santo padre.

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Forse a qualcuno, a Palermo o a Roma, sfugge il fatto che la diga non è un bene privato di qualcuno. E’ il frutto di un lavoro collettivo di cinquant’anni. Fa parte integrante delle campagne della piana partinicese. Spazzarlo via non è soltanto un atto irresponsabile, ma anche penalmente perseguibile, E’ il sogno che si avvera; che non si è ancora concluso, tormentato com’è da ostacoli e appetiti. Dopo la morte di Dolci (1997), l’Ente di sviluppo agricolo siciliano lo molla. Nascono i Consorzi di bonifica in tutta la Sicilia. L’acqua diventa un affare di cui i diretti interessati sono espropriati. E’ la versione analoga a ciò che succede a Termini Imerese con la Fiat. La diga ricade nelle mani di un Consorzio in amministrazione straordinaria non in grado di gestirla. L’acqua si perde per le trazzere e i mafiosi ci passano sopra e sorridono.

Evidentemente ci sarà in alto chi è interessato a fare morire le campagne di Partinico.

(Giuseppe Casarrubea)

Per vedere un documento sull’attività di Danilo clicca qui sotto:

Danilo Dolci una vita per lo sviluppo



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