Le istituzioni si oppongono come normalissimo alla volontà popolare. Esistono per questo. Lo Stato non tutela il lavoro, la sua qualità e produttività, premia e garantisce la proprietà e la rendita, e non assicura per niente l’accesso ai servizi anzi lo rende sempre più proibitivo e costoso. I cittadini sono un peso, gli elettori vanno addomesticati e incantati con le solite favole. Dopo i referendum, il sistema istituzionale si è chiuso a tutela della rendita dei capitali e insiste cercando di confondere le idee, con giochi di prestigio, cambiamenti di nome e varie astuzie per respingere la dura realtà della vittoria dei due referendum.
Durante la campagna elettorale, a Cremona, il comitato acqua pubblica del Cremonese ha perso visibilità, con l’eccezione di un comunicato di Giampiero Carotti. Il terzo anniversario della vittoria rischia di passare in sordina, se non fosse per l’interrogazione dei consiglieri comunali di Rifondazione a Crema, i quali chiedono che Padania Acque e Ato restituiscono parte della tariffa truffa, come stabilito dell’autorità nazionale. Ovviamente Ato e Padania Acque restano vincolate ai grandi interessi economici del settore e non vanno controcorrente. Orrendo.
Qualcuno forse ha la tentazione di far passare per disinformati i due consiglieri Mario Lottaroli e Camillo Rossi. Al contrario l’interrogazione è assai puntuale: si chiede non altro che i rispetto della delibera dell’autorità nazionale. Che poi il Tar faccia l’azzeccagarbugli non cambia la sostanza. I referendum sono più legittimati delle pasticciate e ideologiche leggi antipopolari che escono a ripetizione dal quella fabbrica di povertà e di ostilità ai cittadini che è il Parlamento.
Gianni Trovati
Chi cercasse nelle bollette dell’acqua un qualche collegamento con il livello del servizio rimarrebbe spiazzato; un legame, semmai, si può riscontrare sull’intensità degli investimenti negli ultimi anni, ma all’interno di un sistema tariffario che le tante traversie post-referendum hanno reso praticamente illeggibile a un occhio non addestratissimo.
Un dato solo è certo, ed è contenuto nell’Indagine annuale sulle tariffe idriche 2013 che sarà presentata domani a Milano da Federconsumatori: il «moltiplicatore tariffario» applicato nel 2013, cioè l’erede del meccanismo a copertura degli investimenti cancellato dal referendum «acqua pubblica» del 2011, ha reso applicabile nel 2012-2013 un incremento medio fino all’11,3 per cento. Il moltiplicatore del 2014 è ancora incerto, ma già si sa che sulle bollette di quest’anno si scaricherà anche il moltiplicatore 2012, che è già stato fissato (5,2%) ma non ancora versato. Morale: le tariffe idriche, che in Italia partivano da molto in basso, stanno crescendo, e lo stanno facendo in un sistema disordinato che alimenta prima di tutto polemiche e contenziosi. Il «metodo tariffario transitorio», che ha guidato le bollette 2012 e 2013 e rappresenta la base del «metodo definitivo» (si spera) in vigore da quest’anno, è appena passato indenne dai giudizi del Tar Lombardia, ma naturalmente la partita non è finita perché c’è ancora il Consiglio di Stato. L’Autorità per l’energia, a cui sono passate le competenze dopo la chiusura del Coviri (comitato di vigilanza sulle risorse idriche) e ha avviato anche un sistema di controlli che si estende alle tariffe, ha legittimamente tirato un sospiro di sollievo dopo il via libera dei giudici amministrativi lombardi, ma uno stop in Consiglio di Stato farebbe ripartire tutto da capo.
Il risultato di questa perenne incertezza delle regole è una geografia tariffaria enormemente variegata. L’indagine di Federconsumatori prende in considerazione il consumo medio famigliare registrato dall’ultima relazione dell’Authority: si tratta di 150 metri cubi di acqua all’anno, che a Pisa si trasformano in una bolletta da 347 euro, tallonati dai 345 euro pagati a Siena e Grosseto. A Isernia, invece, il conto si ferma a 78 euro: 4,5 volte meno. A Milano «l’acqua del sindaco» (80 euro all’anno per la famiglia tipo appena indicata) costa la metà rispetto a Napoli e Roma (rispettivamente 164 e 166 euro). Tra i grandi cap9oluoghi a primeggiare è Firenze (332 euro, in linea con i primati toscani registrati dal l’indagine), seguito dai 281 euro di Genova. Nella media nazionale, invece, la famiglia tipo paga 218 euro all’anno.
Attenzione, però: la classifica dei costi non può mettere in graduatoria l’efficienza delle gestioni, per varie ragioni. Il nodo, prima di tutto, sono gli investimenti, che in un settore con cronici problemi di infrastrutture (dispersione dell’acqua, realtà ancora non depurate e così via) sono il dato fondamentale. La Toscana è stata tra le prime a partire con il “metodo normalizzato”, e con forti investimenti che si vedono in bolletta. Molto, poi, dipende dalla realtà territoriale: Milano poggia su una ricca falda (i milanesi se ne accorgono con i problemi della metropolitana quando piove troppo), che serve una popolazione molto concentrata e offre la condizione ideale per abbassare i costi.
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