Anna Lombroso per il Simplicissimus
Chi vende non è più suo, recita un vecchio proverbio, che conferma come spesso la saggezza popolare sia al servizio del più forte. E infatti quelli che oggi alienano beni comuni, mettono all’asta il patrimonio collettivo, cedono a basso costo palazzi, coste, spiagge sanno che grazie alla loro sottomissione saranno graditi ospiti in fastose dimore, abbronzarsi su sabbie rosa, solcare acque private, se non possono addirittura aspirare ad accaparrarsele, comprarsele a prezzi stracciati tramite intermediari che si prestano generosamente o che addirittura li acquisiscono a loro insaputa per farne munifico omaggio. Perché tratto saliente della svolta feudale che sta percorrendo il capitalismo è proprio l’incrudelirsi delle disuguaglianze, così dopo anni di lotte e conquiste anche il godimento di quello che dovrebbe essere di tutti è soggetto a accessi discrezionali, a appagamento arbitrario, proprio come i diritti scaduti a elargizione, le prerogative convertite in privilegio.
Non si tratta soltanto dello spregiudicato assoggettamento al mercato, dell’ottusa devozione al profitto, non è colpa soltanto di quel pragmatismo “fattivo” che impone che persone, desideri, lavoro, beni diventino merci e che ha preso il posto delle grandi narrazioni “metafisiche” che avevano influenzato gli uomini e le donne dell’Occidente: illuminismo, idealismo, marxismo, quelle luminose interpretazioni del mondo ormai esaurite, di fronte al malinconico e spento disincanto che attraversa le nostre esistenze. No, è la nuova forma che ha preso la politica secondo questa classe dirigente, come scienza piegata a rendere perenne la sua permanenza al potere, in cambio dell’ubbidienza, a assimilarla al ceto padronale, in cambio della circolazione di favori, comprese leggi e misure corrotte dall’aspirazione al profitto contro finanziamenti opachi, regalie, gratifiche.
E’ stato così che le “ideologie” della liberalizzazione, della privatizzazione, della competizione, della flessibilità si sono alimentate con il corpo ospitante delle vecchie organizzazioni di sinistra, che ne sono uscite spolpate, mentre nuovi leader alieni e parassitari se ne nutrivano, se ne ingrassavano mentre languiva la promessa della pubblica felicità, se dopo trent’anni di propaganda il risultato è che noi e le prossime generazioni viviamo e vivranno peggio delle precedenti e che nella narrazione pubblica del domani manca il lieto fine.
Ed è per questo che una stampa subordinata idealmente e ricattata praticamente ripete ossessivamente il mantra europeo della inevitabilità punitiva per i costumi dissipati dei paesi affetti da colpevoli debiti pubblici che consiste nella liquidazione dei beni comuni. E tace pudicamente, salvo rare eccezioni sulle occasioni nelle quali i padroni extranazionali si prendono gioco di pronunciamenti popolari e delle ragioni della storia sia pure recente, e che raccontano l’insuccesso economico e sociale delle privatizzazioni dei beni comuni: economico perché a fronte di scarsi profitti, gli uniche a guadagnarci sono state le società di consulenza finanziaria che incaricate dei processi di privatizzazione (nei ruoli di advisor, valutatore, intermediario, collocatore e consulente); sociale, perché la cessione a monopoli privati del management di attività e servizi in precedenza pubblici, ha comportato il passaggio perverso della funzione sociale a funzione unicamente indirizzata alla redditività economica.
Così quasi nessuno ha riferito della contestazione del Forum italiano dei movimenti e della Rete europea escluse dalla Conferenza Europea dell’Acqua, teatro della Grande Ipocrisia Ue e della Grande Menzogna italiana. Ancora una volta si è eluso il principio per il quale sono state raccolte quasi due milioni di firme, secondo il quale l’accesso all’acqua da bere e per i servizi igienici è un bene dell’umanità, e che in questa qualità va escluso dalle «norme del mercato interno» e dalle liberalizzazioni. La Commissione alla quale è pervenuta la richiesta di farne oggetto di un provvedimento legislativo si dice favorevole, salvo ricordare che non spetta all’Ue legiferare in materia, il governo Italiano – quello della Spending Reveiw che mira al taglio delle società partecipate dagli enti locali, con una «riduzione da 8mila a mille, quello dello Sblocca Italia che grazie alla creazione di un gestore unico regionale, getta le realtà locali pubbliche in pasto alle multi utilities, Acea, Iren, Hera – ci ripete che è l’Europa che ce lo chiede e punta a costituire l’ennesima governance oligopolistica e accentratrice, nella stessa logica che ispira la “riforma” della scuola e quella della Rai e nella convinzione che si tratta di atti preliminari al coronamento del disegno di sudditanza totale del Ttp, il suk transatlantico, il supermercato sui cui scaffali ci saremo anche noi, merce a prezzo di svendita.