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Addio a Gabo, “creatore” di mondi fantastici

Creato il 18 aprile 2014 da Ilnazionale @ilNazionale

gabriel_garcia_marquez_fullblock18 APRILE – Doveva capitare prima o poi. Ci stavamo preparando a dovergli dire addio, un giorno. Ma in realtà, per quando ci si provi, non si è mai realmente pronti a salutare una personalità come la sua. E oggi, alla fatidica notizia, si rimane senza parole: lo scrittore colombiano Gabriel Garcia Marquez ci ha lasciato, dopo aver lottato a lungo, per oltre quindici anni, con un tumore che l’ha pian piano consumato. Se ne va in silenzio, dal Messico (dove viveva da anni), con la consapevolezza, immaginiamo, di aver reso questo mondo grazie ai suoi libri un po’ migliore. Ora ci restano le sue opere, appunto, che hanno a dir poco segnato un’epoca straordinaria del Novecento, contribuendo a creare quella sorta di “realismo magico” di cui è permeata la letteratura sudamericana. Lui ne era senza dubbio l’esponente più rilevante e per questo sono nate nel tempo schiere di seguaci e imitatori. Per lo più, però, si può parlare di ammiratori, appassionati, gente che ha letto i suoi libri e poi li ha riletti, alla ricerca di sfumature magari sfuggite durante il primo approccio. E di sfumature ne sapeva creare all’infinito, grazie ad un animo sensibile e profondo che gli permetteva di sfuggire alla normalità. Se ne va con lui una penna che ha saputo creare mondi fantastici, intrecci irreali e altrettanto familiari, personaggi indimenticabili, nascite e morti di una crudezza esasperante, amori impossibili ed eterni.

Inutile elencare qui i suoi libri. Sono tantissimi e uno più bello dell’altro. Marquez ha saputo spaziare da un genere all’altro, non disdegnando quello storico (“Il generale nel suo labirinto”), politico (“L’autunno del patriarca”), giornalistico (“Cronaca di una morte annunciata”, “Notizie di un sequestro”), sentimentale (“L’amore ai tempi del colera”), fantastico (“Dell’amore e degli altri demoni”) e via dicendo. Su tutti valga probabilmente il richiamo a “Cent’anni di solitudine”. Un intreccio e una selva di nomi che si ripetono e si distinguono in modo talmente matematico e preciso che risultano, paradossalmente, impossibili da ricordare. Una vicenda che ti risucchia a Macondo, città mistica e filosofica, simbolo allo stesso tempo della bellezza e della bruttezza dell’umanità. Un personaggio, Aureliano Buendia, che appare come un Che Guevara ante litteram con il suo romantico fascino del condottiero. E poi la magia, le invide, le miserie umane e la capacità di elevarsi oltre esse. Mondi assurdi e imperscrutabili. Con un incipit e un finale che regalano, da soli, brividi e lacrime. Gabo, come veniva soprannominato, era così: metteva al servizio della sua meravigliosa fantasia uno stile inconfondibile e in grado di catturare il lettore fin dalle prime righe del suo romanzo. Ma non è stato solo un romanziere di successo. E’ stato un giornalista, un docente universitario, a suo modo un filosofo a tutti gli effetti. Le sue raccolte di articoli, reperibili presso le collane Mondadori, portano alla luce l’attenta visione del giovane Marquez, capace fin dai suoi esordi di stupire con personalità e mestiere grazie alla sua lucidità nell’analisi politica e non solo.

Non amava, anche se in un paio di occasioni ha ceduto comunque i diritti, le trasposizioni cinematografiche dei suoi libri. Diceva, giustamente, che ciascuno, quando legge, s’immagina la vicenda secondo la propria esperienza e fantasia e lo stesso faceva il regista. Inevitabile che la sua visione non collimasse con quella di tutti gli altri lettori e che questo fosse all’origine della delusione che molti fan di un libro spesso sentono nell’accostarsi al film ad esso ispirato.

Come sempre, in questi casi, è bello pensare che quando se ne va un personaggio del genere in realtà non muore del tutto. Anzi, continua a vivere in ciò che ci ha lasciato e per fortuna si può parlare, in questo caso, di un’opera omnia davvero eccezionale. In “Vivere per raccontarla”, una delle sue ultime fatiche letterarie di un certo rilievo, prova a fare un bilancio della sua vita, raccontando la sua vicenda personale, dall’infanzia fino al ritiro del Premio Nobel nel 1982 e gli anni successivi. Una sorta di summa della sua incredibile vita, che in qualche modo vuole anche essere d’insegnamento. In fondo anche nel suo caso l’enorme talento non sarebbe bastato se non fosse stato accompagnato da una grande caparbietà e dalla capacità di cogliere le occasioni. Attenzione e spirito d’osservazione, accompagnati da un pensiero lucido e scintillante, hanno fatto il resto. Insomma, con un velo di tristezza sorridiamo pensando alla fortuna che il mondo ha avuto nel partorire un tale genio della letteratura.

Addio Gabo, grazie di tutto.

Ernesto Kieffer

twitter: @ErnestoKieffer

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