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Adele e le sue vite

Creato il 19 dicembre 2013 da Retrò Online Magazine @retr_online

La vita di Adele (2013). Regia di Abdellatif Kechiche.

Ne hanno parlato. Sì: ne hanno parlato molto. Il più discusso fenomeno cinematografico è proprio l’ultimo esperimento di Abdellatif Kechiche, l’infiammato regista tunisino-francese che negli ultimi tempi aveva già attirato l’attenzione con il suo premiato Cous Cous. Anche quest’anno, a oggetto principale della sua opera, Kechiche pone l’amore per il contrasto, la lotta contro le incoerenze della società, le discrepanze tra chi è soggiogato a un sistema a cui non appartiene e la rassegnazione di chi, allo stesso sistema, si è abituato. A farsi portatrice di questo messaggio è Adele, adolescente esaltata dal regista per gli aspetti incredibilmente potenti della sua normalità. Adele respira, mangia, va a scuola. È una normalità consistente, la sua, ma soprattutto è incredibilmente fisica. Non c’è nulla di metaforico nel sugo degli spaghetti che le sporca il mento, nel muco che le cola dal naso quando piange, nelle unghie mangiucchiate e i capelli raccolti, poi sciolti e ancora legati. Umano è anche il timore nell’inoltrarsi nella sua prima relazione omosessuale, un po’ spinta dalla novità, un po’ trascinata in modo quasi passivo dal susseguirsi degli eventi.

Ne parlano. E continuano a parlarne. Di come Emma – è questo il nome della ragazza dai capelli blu che cattura l’attenzione e la curiosità di Adele – rappresenti, invece, il lato eccentrico della vita. Appassionata di arte e di donne, Emma guida Adele verso un mondo fatto di estro e sensualità, di locali gay, inaugurazioni e mostre, ostriche, bianchi costosi, tabacco, avanguardie artistiche e parole che Adele, che da grande vorrebbe diventare maestra, non comprende. Con la crescita del sogno artistico di Emma e la realizzazione delle ambizioni “povere” di Adele, la distanza tra le due realtà si fa evidente, troppo naturale per essere ignorata. La storia finisce, e ad Adele rimane solo una delle più malinconiche solitudini che – è innegabile – sia stata rappresentata in un film francese negli ultimi anni. Tutto perde di definizione: ogni cosa si riduce a un contorno sfumato dell’idea che Adele aveva quando stava con Emma. Ne parleranno. Per un po’ di tempo lo faranno ancora. C’è chi sosterrà che non si tratti di un film adatto agli animi sensibili. Ispirandosi liberamente alla graphic novel di Julie Maroh, dal titolo Il blu è un colore caldo, Kechiche non censura proprio nulla: le lacrime sono vere, vero è il muco e vero, che piaccia o no, è anche il sesso. Le scene di passione sono quattro, e non durano neanche poco: motivo sufficiente a crocifiggere il film in un paese, il nostro, dove talvolta viene ancora messa in discussione la decisione di divulgare al cinema materiale così esplicito, chiaramente inadatto a un pubblico minorenne. Ma la critica non proviene solo dall’area della società più legata alle tradizioni: una rilevante parte del mondo gay ha scelto di prendere posizione. “Mi piacerebbe che i film a contenuto gay fossero un po’ più realistici” scrive l’anonima ragazza di un social network. “Nell’immaginario comune l’unione di una coppia lesbica è incentrata esclusivamente sul sesso, ma io e la mia compagna ci amiamo”.


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