La teoria dell’etichettamento (labelling approach), è nata ed è stata portata avanti negli Stati Uniti tra la fine degli anni ‘50 e gli anni ‘60; tra i suoi maggiori esponenti annovera Lemert e Becker.
Il suo più importante presupposto sostiene che la definizione di un comportamento criminale è del tutto relativa in quanto dipende dalla definizione normativa che, in quella data società e in quel dato tempo, viene attribuita ad uno specifico comportamento; in conseguenza a ciò esso sarà considerato come reato o meno.
Il criminale, dunque, è che colui che viene “etichettato” come tale dalla società e dagli organi ufficiali di controllo (polizia, giudici, istituzioni penitenziarie).
L’interesse viene quindi spostato dal soggetto che delinque e dalle cause sociali della delinquenza stessa (povertà, sottocultura, ecc.), alla reazione sociale nei confronti della devianza, cioè ai processi ed ai meccanismi selettivi di criminalizzazione visti nel loro ruolo di controllo sociale, oltre che agli effetti della stigmatizzazione, ai fini dell’acquisizione della qualifica di criminale o deviante (Fortunato 2007).
In questo senso non è decisivo il comportamento deviante in sé, ma piuttosto l’interazione tra l’individuo che mette in atto questo dato comportamento ed i membri della società che ne vengono a conoscenza, in particolare gli organismi preposti al controllo sociale.
Lo status sociale di delinquente, pertanto, presuppone necessariamente l’effetto stigmatizzante, che ha una funzione costitutiva della criminalità stessa. Spesso è proprio la stigmatizzazione del primo comportamento criminale che genera, attraverso il mutamento dello status sociale dell’individuo stigmatizzato, una tendenza a permanere nel ruolo sociale delinquenziale in cui la “bollatura” l’ha introdotto.
Nella teoria dell’etichettamento il deviante non è più visto come disfunzionale al sistema sociale, ma la condotta deviante è intesa come necessaria ed utile alla società per delineare il confine tra devianza stessa e conformità.
Il deviante, quindi, deve essere “creato” per differenziarsene ed avere un termine di paragone negativo.
Nella sua opera “Stigma” , Goffman definisce come deviante l’atto che porta a trasgredire una norma; l’inosservanza ha per oggetto un tipo specifico di norme, che regolano l’identità sociale di ciascun individuo: un complesso di segni esteriori definisce il suo status sociale e stabilisce le modalità di rapporto che gli altri possono intrattenere con lui.
Il deviante è, perciò, il soggetto che è portatore di uno stigma, che ha scarse possibilità di controllare l’informazione per lui discreditante e che, infine, è posto in contesti poco favorevoli alla gestione di un’identità segnata dallo stigma (Fortunato 2007).
Lemert distingue una devianza primaria da una devianza secondaria; in entrambi i casi avviene la violazione di una norma e tuttavia, le conseguenze per il soggetto sono diverse:
- la devianza primaria è quella condotta che prescinde dalle reazioni sociali e psicologiche che modificano il ruolo ed il sentimento dell’identità del soggetto agente. E’ “l’allontanamento più o meno temporaneo, più o meno importante agli occhi di chi lo attua, da valori o norme sociali e giuridiche, attraverso un comportamento che ha implicazioni soltanto marginali per la struttura psichica dell’individuo; essa non dà luogo ad una riorganizzazione simbolica a livello degli atteggiamenti nei riguardi del sé e dei ruoli sociali”;
- la devianza secondaria, invece, si realizza come effetto della reazione sociale e comporta peculiari effetti psicologici: l’attore si percepisce come deviante, sviluppa tutta una serie di atteggiamenti oppositivi che il ruolo comporta, con conseguente fissazione in tale ruolo di deviante. Essa, dunque, “consiste nel comportamento deviante o nei ruoli sociali basati su di esso, che diviene mezzo di difesa, di attacco o di adattamento nei confronti dei problemi, manifesti o non manifesti, creati dalla reazione della società alla deviazione primaria. In realtà le cause originarie della deviazione perdono di importanza e divengono centrali le reazioni di disapprovazione, degradazione ed isolamento messe in atto dalla società” (Lemert, 1981).
… continua…