Leggo per caso un commento di Giulia Fresca, tra le altre cose editorialista di Articolo21.info, a proposito dell’idea dello scrittore Roberto Saviano di scrivere un libro sulla ‘ndrangheta. Non conosco Giulia Fresca, ma so che ha un curriculum splendido, quindi immagino che sia una persona davvero molto in gamba. E mi fa piacere, perchè in Calabria, come ho ripetuto spesso, sono troppe poche le donne che hanno “voce”.
Il suo articolo pero’ mi fa sentire chiamata in causa, doppiamente: come calabrese e come donna.
Qui non voglio parlare di Saviano, della sua vita, dei suoi libri, del suo impegno sociale, dei suoi rapporti economico-contrattuali con la Mondadori, che non ho mai gradito. Voglio parlare dell’opportunità o meno che un/una qualunque scrittore/trice o giornalista, calabrese e non, possa avere di parlare di ‘ndrangheta e Calabria.
“ “…..Ma chi è Saviano per venire a “raccontare” la ndrangheta?.[ un uomo che fa lo scrittore ]
È una persona che vive in una terra martoriata da gente che l’ha depredata ai propri utili generando povertà e stato di bisogno? [penso proprio di si, anche se si chiama Campania]
La ndrangheta si sa, è l’organizzazione più “facoltosa” al mondo eppure la Calabria è la regione più povera d’Italia o forse dell’intera Europa. Chi scrive di queste cose, denunciando quotidianamente gli abusi, i soprusi e le ingerenze politico-criminali, rischiando la vita seriamente perché è qui che vive ed abita, non ha certo intenzione di speculare attraverso la vendita di un libro che ancora deve vedere la luce e che però già fa parlare di sé preannunciandosi come un nuovo best-seller[. incondizionato rispetto e sostegno a tutti i giornalisti che rischiano la vita ogni giorno e che, di norma, poco si stizziscono se uno scrittore vuol parlar di ‘ndrangheta. Ma come la mettiamo allora con Iacona che ha addirittura osato venire in Calabria con le telecamere, pur non essendo nativo e/o residente? Cosa fanno tutti i giornalisti e gli scrittori che si occupano di denunce sociali e, ovviamente, ne traggono un guadagno, speculano? Quello di scrivere non è forse un "mestiere" (oltre che una passione e una mission per alcuni)?]
Tutto ciò è vergognoso e da calabrese dico ad alta voce: Saviano, No Grazie! [ Giulia Fresca è nata a Foggia, non in Calabria. Ma ha studiato in Calabria dove tutt’ora vive, quindi immagino si senta calabrese, un po’ come Paola Bottero, per fare un esempio, che si è trasferita per lavoro in Calabria nel 2000 e pare non volerla lasciare]
Si dedichi ad altro nella vita, si goda i frutti delle sue consumate fatiche nella tranquillità dei luoghi protetto dalle sue scorte.[un’affermazione ingiusta, a mio giudizio. In tutta sincerità non cambierei affatto la mia vita, e le mie difficoltà a mettere assieme i soldi per partire in vacanza, con la vita di Saviano ed il suo conto in banca, sto bene cosi'.]
Lasci perdere la Calabria alla quale non farà certo un piacere,[ parlasse per se stessa] perché non è in grado di trarre da questa terra le cose positive che in essa, nonostante tutto, si generano continuamente[Presupponente. Ancora non è stato scritto nulla ma la Giulia Fresca sa già quale potrà essere il contenuto. Altre opere letterarie ci raccontano di come invece sia possibile parlare liberamente della ‘ndrangheta senza per questo mortificare la Calabria ed i calabresi, anzi.Vedi sempre Ius Sanguinis di Paola Bottero, ad esempio]. È sufficiente rivolgere lo sguardo alle cooperative sociali nate avendo per mission il cambiamento della Calabria e operanti per il riscatto delle comunità locali, che realmente si battono contro le mafie inserendo nel mondo del lavoro persone svantaggiate. Persone che vengono cancellate dai “libri paga” della criminalità organizzata che in Calabria offre solo manovalanza.
La vera ‘ndrangheta è culturale, è quella che afferisce alla soggettività e conflitto, alle “soggettività oggettivate”, di sentimento intimo e personale delle amicizie, di questioni al “femminile”, di situazioni che pongono in rapporto tradizione/modernità, etica e responsabilità.[tutto vero, andrebbe bene anche come slogan.A patto che ci si ricordi anche dei morti ammazzati, che sono un esercito muto]Nei fatti di ‘ndrangheta, chi li vive davvero e ne conosce il significato più profondo, paragona la condizione femminile della donna del criminale “come una pasta di pane”, poiché ciò che appare dimenticato o rimosso nelle narrazioni maschili della storia non è l’eccezionalità delle donne, bensì la loro normalità. Lo scialle nero, il “guardaspaddi”, è memoria di una generazione passata ma anche vissuto del presente e sguardo al futuro, che ci conduce a quel crocevia tra tradizionale e moderno, tra destino e scelta, che viene faticosamente elaborato nella soggettività delle donne del Sud. Il “guardaspaddi” diventa anche il luogo dove custodire segreti, dolori, paure: luogo di pace e di conflitti insieme. Quell’abito nero che rappresenta il lutto delle donne di ‘ndrangheta e di mafia rimanda a quel significato di “mafia” con quale intendiamo un fenomeno complesso, polimorfico, consistente nell’uso di pratiche di violenza e di illegalità, in genere da parte di strati sociali dominanti o tendenti a diventare tali come la “borghesia mafiosa”, allo scopo di accumulare ricchezza e acquisire posizioni di potere, avvalendosi di un codice culturale non immodificabile e di un relativo consenso sociale, variabile a seconda della composizione della società e dell’andamento del conflitto di classe o comunque del rapporto tra le varie componenti. Nelle “mafie” si inserisce erroneamente anche la ‘ndrangheta ma a torto, perché essa è fatta da legami di congiunti, da “fratelli di sangue” e da donne all’interno della “signoria territoriale”. Questa “mafia” intesa come un’organizzazione formalmente monosessuale, riservata ai maschi, sottolinea invece l’elasticità di fatto che consente il contributo sempre più rilevante della donna, vista come un “fantasma che prende corpo”, mentre la “mafia” ,ma ancora di più la ‘ndrangheta, è come una rete che cambia colore passando da un centro fitto e nero ad un intorno grigio fino a giungere ai limiti nel candore del bianco: il candore delle fedine penali di quanti non sono direttamente coinvolti ma che rappresentano la forza vera della “mafia” attraverso l’omertà e la ricerca della “pace”.” “[Mi pare evidente la strumentalizzazione dell’argomento (donne), per cui rimando, chi fosse interessat*, ad un’attenta lettura di alcuni testi di Renate Siebert (ne ha parlato in piu' occasioni di donne e 'ndrangheta)] Roberto Saviano non scriverà mai di queste cose, perché non le conosce, non le vive e soprattutto perché non è in grado di capirle, dalla sua postazione “lontana[cosa significa? Che chi vive in altre parti del mondo non puo’ parlare e scrivere della condizione delle donne in Congo, in Iran, in Afghanistan, a Ciudad Juarez in Messico, perché è troppo lontano e quindi non potrà mai afferrare il dramma delle esistenze delle donne che ci vivono?]”, ma soprattutto non saprebbe, per convenienza, porre il suo lavoro a fin di bene per questa terra, che ancora una volta si offre, stupidamente, come preda.” “
Da donna, calabrese e colta quale è, Giulia Fresca dovrebbe sapere cosa scrive Renate Siebert nelle prime pagine di “Le donne, la mafia”, quando spiega le motivazioni del suo interesse nei confronti di un simile argomento e quindi la riflessione che ha spinto la sociologa a dedicarsi al libro. La Siebert sembra avere una improvvisa presa di coscienza: che nessuna delle donne calabresi che narrano di sé attraverso il suo libro “E’ femmina pero’, è bella” abbia accennato al problema della ‘ndrangheta, nel corso delle numerose interviste. Questa è esattamente la stessa cosa che mi hanno spesso rimproverato amiche e amici che non vivono in Calabria: che noi donne e uomini calabresi, di ‘ndrangheta, ne parliamo stranamente poco.
Allora, ben venga chi è disposto a farlo!
Da donna calabrese (nata, cresciuta ed “ivi residente”!) che ama profondamente la sua terra, con tutte le sue contraddizioni, il mio appello è questo: ADOTTA ANCHE TU LA CALABRIA!
Leggi e parla della ‘ndrangheta, tanto da scoprire che la Calabria e i calabresi sono altro.
Leggi e parla di come vivono le donne in Calabria, tanto da scoprire che abbiamo bisogno anche di questo: che nulla venga taciuto.
E chi è in grado, ne scriva pure! A me, come cittadina calabrese , fa piacere.
( foto di Paola Bottero: Capo Vaticano- VV)