
Il metodo del sostegno a distanza per i Paesi in via di sviluppo è di per sé una delle strategie più che efficaci di aiuto “Nord-Sud”, per il reperimento di denaro”fresco”, che può migliorare, in alcune circostanze, le condizioni di vita delle persone laggiù (bambini e bambine ma anche giovani), che abitano realtà difficili e complesse.
E realtà difficili e complesse sono quelle in cui ci sono urgenze di ogni tipo, da quelle della stretta sopravvivenza (carestie e siccità ricorrenti), a quelle legate all’istruzione e alla sanità, indispensabili per poter giungere ad avere un domani, , com’è giusto che sia, una qualità della vita dignitosa.
E sono moltissime le organizzazioni umanitarie in tutto il mondo ormai, grandi come Action Aid, ad esempio, e/o piccole, che più modestamente, ma non meno efficacemente, consentono a chi lo desiderasse di mettere in piedi un impegno in tal senso.
E chi lo fa, offrendo la propria disponibilità sul lungo periodo, compie, senz’altro un nobile gesto.
Ci sono però alcuni aspetti del metodo, che devono essere chiariti, prima di decidere per il “sì”.
In questo ci soccorre un utilissimo articolo sul numero di Missioni Consolata di luglio scorso, e grazie ad un’intervista fatta dalla giornalista, Chiara Giovetti, alla responsabile del settore “SdA” dell’organizzazione “no profit”, Missioni Consolata Onlus di Torino, Antonella Vianzone.
Quello che l’articolista nel dialogo con Antonella mette subito in chiaro è che si tratta di un’esperienza bella e gratificante ma occorre mettere in conto, senza troppi infingimenti, di non attendersi nulla in cambio, se non la gioia di aver donato ,di donare, e possibilmente di continuare a farlo con gratuità.
Questo occorre dirlo perché molte persone sono convinte di poter stabilire un legame, a tutti gli effetti, concreto, reale, di familiarità, diretto insomma, con il bambino o la bambina o il giovane e la giovane, che essi beneficano.
Si tratta, invece,in una corretta lettura da parte del donatore e fuori da ogni retorica di maniera, e per tutte le organizzazioni di questo tipo, semplicemente di un appoggio ad un progetto in corso, quasi sempre già esistente, in questo caso dei missionari e/o delle missionarie della Consolata, e offrire cioè delle stampelle a chi, in un certo momento della propria vita, ne ha magari strettamente bisogno.
Quando un gesto del genere poi è compiuto all’interno di un nucleo familiare la “cosa” acquista- ci tiene a sottolinearlo Antonella - una forte valenza educativa per i figli, i quali iniziano a “succhiare con il latte materno” cosa significhi la parola “ gratuità”.
Poiché, una volta stabilito il contatto con l’organizzazione ed essendo stati messi a conoscenza di quale persona e di quale progetto si è supporto, attraverso uno scambio d’informazioni periodiche, c’è anche un altro aspetto , che non é meno interessante da tenere in conto.
Indipendentemente dal generico aprire gli occhi e guardare un po’ più “fuori dell’uscio di casa propria”, in quanto non tutto termina nel perimetro della nostra città o del nostro paese, nel nostro quartiere o nella nostra via, il valore aggiunto è che s’impara a conoscere il mondo.
E non si tratta più, dunque, solo di quello che apprendiamo dai “media” generalisti ma c’è un legame autentico, mediatori coloro che operano sul campo, con chi lontano ha delle necessità intramandabili, cui noi, viva Iddio, siamo stati e/o siamo in grado, per quanto è possibile, di rispondere.
E nonostante, forse, altre nostre stesse povertà.
Il contraccambio, in situazione, è la capacità di apprendere gradualmente a leggere, nel bene e nel male, la storia del mondo in un’ottica d’internazionalità e in “presa diretta”. Senza coperture ideologiche.
Concludendo l’importante, per chi propende per un’azione di sostegno a distanza, è non perdere mai di vista il progetto in atto e, di conseguenza anche la persona beneficiaria del proprio dono.
Ma il progetto sostanzialmente è la cosa più importante e, con esso, lo sono la serietà e l’affidabilità di coloro che ci lavorano, assieme, e per le popolazioni del luogo.
Infatti deve essere messo in conto da parte del donatore che molti di quei bambini e bambine, che si aiutano all’interno di un gruppo allargato, e quindi di un progetto, quasi sempre, all’età di diciassette o diciotto anni, com’è naturale che sia, si emancipano.
Specie in Africa, ma anche in America Latina, apprendono un mestiere o continuano negli studi, cambiando spesso luogo di residenza.
Questo per il donatore deve solo essere motivo di soddisfazione in quanto, in casi del genere, è certissimo che l’aiuto è andato a buon fine.
Ed è quello che realmente conta.
La consapevolezza cioè di aver fatto, nel proprio piccolo, “bene il bene”.
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)







