Ne parla di lei,di Algamesh, la poetessa e religiosa comboniana Elisa Kidané, nella sua rubrica “I colori di Eva”, nel numero di settembre del mensile Nigrizia dei Comboniani di Verona.
Sappiamo tutti e da parecchi anni, anche se spesso facciamo finta d’ignorarlo, che esiste un traffico di esseri umani dall’Africa in direzione della vicina Europa. Ed esso è messo in piedi da trafficanti avidi di denaro e senza scrupoli, i quali ricorrono all’inganno e recitano una quantità di false promesse alle loro vittime pur di riuscire ad abbindolarle.
L’utilizzo, poi, della merce umana, una volta giunta a destinazione, quello può avere impieghi molto differenziati.
E questo diventa possibile, nei nostri Paesi, grazie a una fitta rete di complicità e coperture, di cui si fanno garanti altri africani stessi, uomini o donne indifferentemente, rotti ad ogni compromesso e illeicità.
E sono questi, proprio loro che, nel caso della prostituzione femminile, riducono le giovani donne in stato di schiavitù, iniziando dalla prima ora a sottrarre i passaporti alle malcapitate.
E c’è poi anche tutto un traffico molto lucroso legato all’espianto di organi.
E anche questo usufruisce quasi sempre di buone coperture (i committenti sono da noi in genere persone molto ricche) tranne quando si sfila una “maglia” dall’ordito e, allora, sono guai grossi un po’ per tutti.
Ma, ritornando ad Algamesh, la donna di cui racconta la Kidané, è una milanese di origine eritrea, residente da trent’anni ormai in Italia, che ha sposato l’impegno di questa causa da ben dieci.
E l’input è stato per lei sapere che dei beduini, nel deserto del Sinai, praticavano la tratta di esseri umani senza che nessuno, a livello internazionale, s’impegnasse a combattere e a mettere fine definitivamente a questo genere di crimine.
Cioè che tutto passasse nell’indifferenza generale.
Già qualche anno prima Algamesh aveva costituito, a Milano, una onlus per provvedere ai bisogni e alle necessità impellenti dei bambini ivoriani, vittime innocenti, a quel tempo, di una lunga e interminabile guerra civile, che non risparmiava , quanto a fame e a violenze, proprio niente e nessuno.
Così, quando a questo problema vengono ad aggiungersi tutti quegli altri di sudanesi,di somali , di eritrei e d’ etiopici, in fuga dalle loro rispettive terre e caduti nelle mani di gente senza scrupoli, Algamesh non ce la fa più a stare a guardare e deve fare qualcosa.
E cominciano, infatti, i viaggi, che definirli “impossibili” è un eufemismo, anche nelle carceri libiche dell’allora regime di Gheddafi, per liberare i prigionieri.
L’obiettivo, che persegue, e l’amore autentico e disinteressato per il suo prossimo, non le fanno temere alcun male. Ed è fiera di poter dire di sé che finora è riuscita a sottrarre alla schiavitù dei trafficanti almeno 1500 persone. E conta di continuare a farlo finché potrà.
E precisa ancora che proseguirà finché ci sarà un solo ostaggio nelle mani di questa razza d’uomini senza coscienza.
Ovviamente a noi non viene richiesto lo stesso sforzo d’azione di Algamesh (i lunghi e pericolosissimi viaggi) ma, se siamo motivati a che certe “brutture” umane scompaiano dal pianeta, possiamo sempre essere d’appoggio a questi capi-cordata come lei, gente semplice ma anche molto speciale allo stesso tempo.
Essi hanno, comunque, bisogno del nostro sostegno per raggiungere con un minimo di successo la vetta.
Insomma l’invito è quello di tirare fuori i nostri carismi, di scoprire se li abbiamo (e tutti li abbiamo) e di aderire a una lettura della vita nel quotidiano che la Kidné definisce fatta di grande passione umanitaria.
Che, intendiamoci, non deve essere di necessità legata a etichette confessionali specifiche. Tutti possono fare bene il bene.
Infatti,da tempo, Algamesh , a Milano, è collaborata da giovani donne italiane ma anche eritree e somale, le quali, a loro volta, hanno creato una nuova associazione ,di cui sono attiviste indefesse, e che appoggiano con solidarietà effettiva anche la sua sfida.
Suor Elisa Kidané,redattrice de "I colori di Eva"
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)