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Agon

Creato il 21 marzo 2013 da Ildormiglione @ildormiglione

agon

Agon” in albanese vuol dire albeggiare, ciò che dipinge Vini e ciò che cercano sia lui sia il fratello Saimir, ma è un tentativo costantemente frustrato da un agone senza via d’uscita. I due sono albanesi trasferitisi a Thessaloniki per migliorare la loro condizione. Saimir è innamorato di Elektra, vuole sposarla e lavora sodo nell’officina del suocero. Come un padre di famiglia cerca di far integrare suo fratello, procurandogli una serie di lavori che però lui non ha voglia di fare. Quest’ultimo ostacola la buona volontà di Saimir, perché ha tradito le sue origini albanesi facendosi battezzare Thanasis e perché troppo succube della nuova famiglia greca. Nel frattempo approdano nell’appartamento in cui i due futuri sposi vivono lo zio di Saimir e tutta la sua famiglia, in quanto l’anziano signore deve subire un intervento agli occhi. Quest’ultimo, abituato ad esercitare tradizionalmente un ruolo di comando all’interno del nucleo familiare, vuole sindacare anche sul ruolo di Elektra. La situazione precipita tanto che la donna torna da suo padre. Nel frattempo Vini è andato a vivere con Ben, un trafficante di passaporti falsi che vive anche di favori e collusioni con i potentati locali. Tra soldi facili e auto di lusso, si innamora di Majlinda, moglie di Nevo, albanese trafficante invece di donne e di droga. Dopo un tentativo di suicidio, Vini trasporta Majlinda in ospedale e successivamente a casa di Ben. Quest’ultimo intima ai due ragazzi di andare via perché timoroso di incorrere nella punizione di Nevo. I due allora si rifugiano a casa di Saimir ed Elektra, che nel frattempo sono tornati insieme. Vini decide di lavorare con Saimir in officina per procurarsi il denaro necessario a fuggire, ma la vendetta di Nevo non tarda ad arrivare. Dopo aver ucciso Ben ed aver distrutto le auto dell’officina, Saimir, Majlinda e Vini vengono cacciati dall’appartamento. Vini viene ucciso, Nevo e Majlinda muoiono in auto, Saimir torna in Albania con il feretro del fratello. Elektra scoprirà di essere incinta e nel finale lei e suo padre viaggiano verso Tirana alla ricerca di Saimir. Il film è un’autentica tragedia greca, dove è difficile scampare al destino che piomba ineluttabile sui protagonisti. Tutti cercano di sollevarsi dall’infima posizione in cui la società gli ha relegati per appartenenza etnica o condizione economica. Ogni volta che Vini sbaglia nel compiere un lavoro o è pigro, viene etichettato come sporco albanese. Persino Majlinda inizialmente lo allontana perché lo considera inferiore. Il giovane convoglia la sua rabbia verso il fratello, colpevole ai suoi occhi di essersi naturalizzato greco. Saimir dal canto suo ama profondamente Elektra e Vini ed è convinto fino alla fine che le controversie possano appianarsi. Non è un vile, lavora in silenzio per essere accettato e difende spesso Elektra, in nome di un nuovo valore, quello del rispetto reciproco, tra donna e uomo. Vittime di questa società lo sono ancora di più le donne, quelle albanesi e quelle greche, mere proprietà degli uomini,  sia la moglie dello zio di Saimir, sia Majlinda che invano cerca di fuggire dal marito-padrone, sia Elektra che è succube del padre. Quello che emerge dal film, che con immagini dure e dense ci dà uno spaccato di una realtà in cui la mala non ha confini, è che il coraggio di scegliere altro non sempre è possibile e non sempre viene premiato. I protagonisti rimangono imprigionati nelle loro vite, costretti in logiche spietate per cui i corpi sembrano non avere valore, quelli degli albanesi che comprano i passaporti, quello di Ben, ucciso giocando a tiro al bersaglio, quelli di Nevo e Majlinda uccisisi a vicenda in auto, quelli delle prostitute. L’unica speranza è l’amore tra Saimir ed Elektra, che supera anche le chiusure di suo padre. Questa sembra la sola possibilità di incontro fra una rigida ottemperanza ai valori patriarcali, albanesi e greci, e l’assoluta mancanza di umanità dei criminali. Al suo primo lungometraggio, il regista Robert Budina dirige abilmente i suoi attori, permettendo allo spettatore di non affezionarsi mai totalmente ad uno più che ad un altro, ma di capirne ogni volta le ragioni, di condividerle o di rigettarle. Una nota di merito anche per Marvin Tafaj, che interpreta il ruolo di Saimir e che dà volto all’agone costante fra la perseveranza di un cambiamento onesto e la disperazione silenziosa della sconfitta. Scrive il regista: “Questa non è una storia di immigrati, ma una storia sugli sforzi che gli uomini fanno per integrarsi. Non è una storia sulla criminalità e sulla mafia, ma è una storia sull’amore impossibile. Ho incontrato tutti i personaggi del mio dramma, in altre circostanze. Oggi ho l’opportunità di ricrearli, di costruirne una storia ed esprimere attraverso essa la complessità dei sentimenti umani”.

Voto 8,5



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