Mia dolce Mamma, nel giorno del mio 49° compleanno,
il mio primissimo pensiero è tutto per Te.
«Io sono come una rana in uno stagno asciutto».(Maitri-upanisad, I, 4)
LA SENTENZA (frammenti dal giorno più brutto della mia vita)
9 maggio 2003
Allora il rifiutarsi di germogliare delle mie portulache era proprio un segno, come l’orrendo nero senza faccia che vidi (o credetti di vedere?) per le vie di Varese, levigata e raccapricciante boccia di De Chirico orba d’organi sensoriali apparsami d’improvviso in lontananza sull’altro lato della strada, vicino a una fermata del bus, ebano liscio senz’occhi né orecchie né narici… Come la tua candela colorata di Pasqua, la cui fiamma era più debole delle nostre e vacillava?
Bevendo il caffè papà scoppia a piangere, stavolta sono io a dirgli Non farti sentire! (Lei è di là sulla poltrona a guardare, ancora ignara della telefonata del dottore, un po’ di tv.)
Poi vado a ritirare questo esito che già conosco.
Camminando per Varese, disperato, sotto i portici le facce delle donne anziane mi fanno rabbia. Come hanno osato invecchiare, mentre mia madre sta morendo? Come si permettono di starmi attorno? Non lo capiscono, il pianto che mi urla dentro il cuore?Una timida e ingenua vocina interiore tenta di placarmi, dicendo che comunque mia mamma non ha quarant’anni, ne ha sessantacinque. Poteva andare peggio. Poteva capitarmi da bambino. Perché, adesso cosa sono?
Mi danno un bustone giallo. Mi fanno firmare. Non pago niente, perché considerano i 65 anni come già compiuti prima della tac. Le piccole inutili fortune a cui rinunceresti volentieri. Mi accascio su una sedia di plastica nera, e tiro fuori la sentenza. La metastasi più grande è già di sei centimetri.
Mi metto nei panni di uno che non sa ancora niente, e che sia venuto a ritirare i referti del proprio esame. Com’è possibile che si debba venire a saperlo così, da soli? Alla faccia del sostegno psicologico.
Quando arrivo e sto per mettere la macchina in garage, la mamma è fuori che sta salendo le scale. Si ferma, mi guarda, e mi sorride. Indossa la sua solita felpa verde e consunta, quella che mette per i mestieri di casa e giardino, e mi sorride stanca.
E adesso chi glielo dice?
Ma non sono cose che si dicono, che si possano dire. Le viene dato il bustone, e lei, con noi attorno, muti, si siede presso il tavolo in sala, inforca i suoi occhiali da lettura e da scala 40 e poi, in apparenza serena, si mette a rileggere il referto della eco, e a leggere quello della tac. In questi referti non si fanno mai le parole cancro o tumore. Si parla solo di “macchie”, di “lesioni”, di “formazioni”. Le ultime parole sono: “si consiglia visita oncologica”.