Magazine Diario personale

ai nostri "vecchi"

Da Sara
ai nostri Il viaggio di andata e ritorno non è esattamente lo stesso: si arriva al mondo urlando e piangendo, un gran baccano, si parte invece in silenzio in una fredda cassa di legno. La mia Queen Mother se n'è andata nel gennaio del 2009. Forse ha aperto la serie, da allora non ho fatto che partecipare a funerali di madri e padri di amici cari intorno a me. I nostri "vecchi", e uso questo aggettivo con la più grande tenerezza,  se ne vanno per lo più d'inverno, quando fa troppo freddo o in piena estate, quando fa troppo caldo. Hanno tutti età molto venerabili, dagli 85 in sù, diversi avevano superato abbondantemente i 90, ma un genitore che non c'è più lascia un vuoto di qualità insondabile, a qualunque età ci si sente improvvisamente orfani e soli al mondo. E' vero che la medicina ha fatto passi da gigante e la qualità dell'assistenza pure, credo però che i genitori della mia generazione fossero fatti di una pasta speciale, come noi non ce la sogniamo neppure. Per questo hanno faticato tanto a vivere, ma molti fra loro  anche a morire, malattie interminabili, il cuore che sembra non volere mollare mai. Sarà stata la guerra, anzi due guerre mondiali nel terribile 900, saranno state le difficoltà del dopoguerra in un mondo tutto da ricostruire, sarà stata quell'energia che si sprigiona dall'impellenza di dare a noi figli certezze ed agi di cui loro non avevano goduto, ma che coraggio, che determinazione e che grinta hanno avuto i nostri genitori!  Sento sempre un grande imbarazzo nel porgere condoglianze formali, ma di fronte alla loro perdita non so mai trovare delle parole che abbiano un senso, forse  non ce ne sono.  
                                                 Ognuno sta solo sul cuor della terra
                                                     trafitto da un raggio di sole:
                                                         ed è subito sera                  ( Salvatore Quasimodo)

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