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Aikido é semplicità (2°seminario M°Shimizu a Milano)

Da Stefano Bresciani @senseistefano
Data: 14 luglio 2012  Autore: Stefano Bresciani

Aikido é semplicità (2°seminario M°Shimizu a Milano)No, non sarò breve stavolta, è utopistico poter racchiudere in poche righe ciò che mi ha trasmesso il 2°seminario di Sensei Shimizu a Milano, caposcuola Aikido Tendo-ryu. Un evento reso possibile dalla magistrale volontà degli amici di Milano coordinata da un eccezionale Max Gandossi, direttore tecnico per l’Italia. Prenditi 5 minuti di tempo per cortesia, ti invito a leggere ciò che segue qualunque sia il motivo o la casualità che ti abbia portato su questo blog, credimi, ne varrà la pena! Che tu abbia partecipato al seminario oppure no, che tu sia aikidoka oppure no, ciò che leggerai ora è qualcosa che va al di là dell’aikido, che ha preso il cuore di un budoka per mostrarlo nella forma più semplice e sincera possibile. Buona lettura!

Vorrei iniziare esaminando cos’è la semplicità per poi arrivare alla scoperta della sensibilità umana. Semplicità non significa possedere pochi beni, avere una dimora modesta, non sfoggiare abiti, avere pochi soldi da parte. La semplicità non si ottiene adeguandosi a uno schema prefissato, modellarsi a immagine e somiglianza di un insegnante ad esempio. Si ottiene dopo un duro e difficoltoso impegno. La vera semplicità può nascere solo interiormente e ciò che ho ricevuto più di qualunque altra cosa nei tre giorni al Parco Saini di Milano, è stato l’acuirsi della mia sensibilità: una mente, un cuore, un corpo in grado di percepire rapidamente i messaggi che il partner di turno cercava di trasmettermi. Apprendere lentamente è sempre stato un mio limite, ossia l’incapacità di rendere il massimo poiché fossilizzato sul capire COSA fare più che concentrarmi sul COME fare. Per la prima volta da quando pratico arti marziali (ndr: 18 anni) sono andato oltre tutto questo, grazie a chi mi ha sostenuto praticando con me: da Birgit (moglie del maestro nonché bravissima aikidoka) a Waka Sensei (Kenta, il figlio nonché uchi-dechi del maestro) passando per gli eccezionali amici tedeschi e italiani, che in un’alternarsi di conoscenze, stanchezze, sorrisi e correzioni, mi hanno incanalato in una dimensione magica dell’Aikido e più in generale del Budo.

All’apice della stanchezza in un torrido sabato pomeriggio, ho gustato l’ingresso in una nuova dimensione della pratica, nutrita dall’arte di aiutare, di ricerca della semplicità che non va confusa con la superficialità o facilità, anzi! Nel fare aikido ogni cosa non è affatto facile ma iniziando a comprendere i movimenti sotto forma di energia, ogni condizionamento, paura, limite che spesso mi hanno imprigionato, hanno lasciato spazio a uno straordinario senso di libertà. Quando c’è libertà di fare, di assorbire, di ascoltare, c’è semplicità. Questa semplicità richiede consapevolezza delle proprie difficoltà, richiede spirito di osservazione, richiede uno stato costante di vigilanza. Una mente vigile e consapevole acuisce la sensibilità, di certo ha maggior recettività e capacità di adattamento alle difficoltà, di qualunque natura esse siano. La nostra mente è un dono divino, però dobbiamo saperlo apprezzare e alimentare, per tutta la vita.

Mi emoziona ripensare a quel famoso maestro di té, citato dal Maestro Shimizu, ora suo allievo all’età di 84 anni, che apprende aikido come qualsiasi altro principiante. Grande esempio di umiltà. Un’umiltà che va di pari passo con la semplicità e con la sensibilità. Che bellezza quegli aliti di vento che di tanto in tanto allietavano il mio accaldato volto mentre ero in seiza… solo che a un certo punto non mi servivano più, le gambe erano molto più leggere, il mio volto meno contratto e la mia mente molto più serena… Una mente così assiduamente abituata a voler apprendere, che si affanna per ricordare, che si agita per sapere fare subito qualcosa, finalmente è diventata semplice. Quando ho lasciato spazio alla pura emozione della pratica, al contatto col partner di turno, quando ho dimenticato di dover imparare tutto e subito, quando ho cessato di voler plasmare le mie movenze al maestro, allora ho colto la bellezza di ciò che mi veniva mostrato! Quando la mente è diventata semplice e dunque sensibile  ho visto le mie difficoltà dissolvervi come nubi per lasciar spazio a un cielo azzurissimo, limpido… un senso di freschezza mi ha attraversato da capo a piedi…. aaahhh che meravigliosa sensazione!!!

E nel bel mezzo di questa sensazione, a metà lezione della domenica mattina, ecco che Sensei Shimizu mi risveglia dal magnifico idillio: dieci minuti di pausa traduce Max Gandossi….. noooo! La frase che meno di tutte avrei voluto sentire (mentre molte altre persone gongolavano all’idea di dissetarsi e riposare un po’). Avrei voluto non finisse mai questo seminario, neppure la sete, la stanchezza o la fame avrebbero contrastato il mio desiderio di praticare ancora, ancora e ancora, di sudare senza sentir calore, di cadere senza sentir dolore, di mettermi in seiza senza alcuno sforzo articolare. Avrei voluto abbracciare a lungo quel momento di estasi budoistica ma più in generale di sensibilità umana, paragonabile alla gioia che ho provato quando ho visto nascere mia figlia; probabilmente anche stavolta qualcosa è nato: la semplicità di praticare col cuore.

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