Magazine Cultura
L’INTERVISTA
Vi ho lasciato poco più di un anno fa con l’album “Modern”: che cosa vi è accaduto di significativo in un anno e mezzo di vicende musicali?
In realtà quello che accade sempre quando nasce qualcosa di nuovo... e per noi è sempre lo sperimentare qualcosa di diverso, qualcosa che ci restituisca qualche nuova sensazione, qualche nuovo sentimento, e “David” corrisponde a questa ricerca. Nel frattempo Stefano (Giaccone ) è tornato in Inghilterra e quindi anche i live di “Modern” si sono interrotti, e noi ci siamo riappropriati dei nostri spazi.
”David” è il vostro ultimo disco, da poco uscito: potete sintetizzare i concetti racchiusi nel nuovo lavoro?
“David” è una materia sonora strana, non so dare giuste indicazioni per rappresentarlo, è certamente il risultato di un collettivo lasciato a briglie sciolte. L’idea è stata quella di dare spazio ad ognuno di noi in modo assolutamente libero, senza troppe indicazioni, in modo che venisse fuori la parte più intima di ognuno di noi. L’idea musicale ruota intorno a sei momenti di base sui quali ognuno di noi ha inserito il proprio intervento con il proprio strumento in assoluta libertà ed in momenti separati, in piena solitudine, in presa diretta per tutta la durata del disco, in modo da poter registrare una parte irripetibile ma assolutamente rappresentativa di se stesso. Poi, grazie a Pol (Paolo Bergese) ed alla sua bravura nel mix è scaturito quello che si sente, ma che è ovviamente il frutto di un successivo mix che ha, di volta in volta, evidenziato come parti solistiche parti che erano state suonate come accompagnamento e viceversa, creando un cortocircuito sonoro che ben rappresenta lo stato d’animo del collettivo.
Seppur minimalista il contenitore fisico racchiude un booklet che disegna e racconta l’album: come ci si può avvicinare alla comprensione totale del lavoro con il solo ascolto - magari in rete - di trame strumentali? La diversa percezione e interpretazione della proposta fa parte del gioco interattivo?
La parte testuale e grafica è stata ideata con lo stesso principio della parte musicale. E’ stata scritta in primo luogo la scena ove si svolge l’azione che ha come protagonista David, ma ognuno di noi ha potuto inserire parti personali che interagiscono con la storia principale, in modo da dare alla parte testuale le stesse caratteristiche adottate per la parte musicale. La grafica è stato il regalo di Chiara (Chiara Dattola), bravissima illustratrice, che a suo modo è diventata membro degli Airportman, perché con lo stesso principio ha inserito il suo contributo, raffigurando l’idea di David. Ovviamente il tutto è avvolto da un respiro tenebroso, i toni sono gravi e cupi, ed in generale ne esce un atmosfera angosciante. Ma la storia di David è la storia di un suicidio ed il tema ha ovviamente caratterizzato tutto il mood. “David”, come tu dici, è stato realizzato lasciando spazio all’improvvisazione: è perfettamente riproponibile dal vivo? Guarda, appena riascoltato ci siamo detti che era praticamente impossibile riproporlo dal vivo; ma in realtà è semplicemente perché doveva essere riassorbito da ognuno di noi in maniera diversa da come ognuno di noi aveva suonato nei takes. Il risultato live, che abbiamo testato qualche giorno fa al “Tago Mago Festival”, racchiude l’essenza del disco con qualche impennata sonora più marcata, ma direi che risulta assolutamente suonabile, semmai ci sarà qualcuno che lo vuole ascoltare dal vivo…
Mi dite qualcosa dell’artwork?
Come ti dicevo prima la grafica è stata un enorme regalo di Chiara; le abbiamo inviato il testo e il provino del disco e le abbiamo chiesto di interpretare a sua libera ispirazione il lavoro. Conoscevamo ed apprezzavamo il tuo tocco grafico, ma ritengo che le tavole che ci ha regalato sono magnifiche, in piena sintonia con l’atmosfera del disco.
Che cosa rappresenta “David” all’interno del vostro percorso globale?
Una nuova ricerca, una via di fuga, uno spiraglio di luce, seppur nascosta, in una proposta musicale generale piatta e conformata. Non pretendiamo che “David” apra nuove porte musicali, ma lo spirito di sperimentare nuovi modo di concepire la musica, nuovi canoni di ricerca, seppur con un risultato ostico ai più, ci rende orgogliosi di quanto fatto. Penso che “David” sia un lavoro viscerale che non ha compromessi, non puoi dargli un ascolto sommario, in quel modo è irritante e fastidioso, ma con il dovuto tempo ed attenzione allora ti può trasportare in luoghi diversi da questa realtà.
Non sono molto bravo nel decodificare le etichette: cosa significa essere una band di Post-rock, termine che viene associato alla vostra musica?
Non so cosa voglia dire post-rock, noi siamo una band rock a nostro modo di vedere; non pensiamo di avere nulla di post; capisco che dire che gli Airportman siano una band post-rock renda più facile individuare il nostro suono (mogwai, sigur ros, silver mt. zion, etc..), ma quello che mi piace sia detto di noi è che siamo una band di ricerca.
Troppo presto per parlare di progetti futuri?
Davvero troppo presto. Unica cosa, abbiamo fatto dal vivo, in un paio di occasioni, una suite musicale inedita dedicata a Violeta Parra.
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