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Al Cinema: recensione: "E' stato il figlio"

Creato il 16 giugno 2013 da Giuseppe Armellini
Ci sono sequenze così belle, necessarie, forti e perfette che a volte bastano da sole a salvare un film.
Non è questo il caso, "E' stato il figlio" del grande Ciprì è un ottimo film già di per sè.
Ma la magnifica scena post omicidio, con quella nonna fino a quel momento silente che si lancia in quel devastante e terribile monologo è una sequenza da antologia che dà senso a tutto il film (e al titolo finalmente) e si incastra così perfettamente con tutto ciò che la precede (e con la cornice) da alzarsi in piedi per la sua riuscita.
Non c'è più nessuna legge, quel morto a terra è solo un fatto ormai assodato, non ci sono più legami di parentela, non c'è più amore, non c'è più dolore, c'è soltanto una fredda, sebbene fatta a caldo, e spietata analisi di quello che bisogna fare. Quel figlio così buono, umile, rispettoso, per un piccolo errore avrà segnata tutta la sua vita, mentre quell'altro, ragazzo ribelle e violento, vedrà salvata la propria in nome del dio denaro, della sopravvivenza di tutti.
Non c'è niente da discutere,quella nonna è il concentrato umano di una tradizione, di una terra, di un istinto di sopravvivenza, ogni sua sillaba è legge radicata nel passato e nel futuro.
Che bello sto piccolo film, così sempre e perfettamente in bilico tra il grottesco/comico e il drammatico, così abile nel raccontare attraverso piccoli passaggi la storia di una famiglia siciliana che reifica il lutto per la terribile morte della figlioletta in una Mercedes nera fiammante, che dimentica il dolore primordiale della perdita più terribile nel sogno, tutto paesano, di avere l'auto dei desideri e del riscatto.
Solo la povera realtà del paese può raccontare storie così. Ho sempre pensato che nel mondo esistano due categorie di persone, quelli che hanno vissuto in paese e quelli in città. Ai secondi accadono più cose, la loro vita è piena di avvenimenti, anche di aneddoti forse, ma le storie, le vere storie, quelle che si raccontano col passo lungo, stanco e affascinante del racconto sono quasi esclusiva dei primi.
Qui c'è la storia di una famiglia operaia che ha perso per mafia la piccola figlia, aspetta il risarcimento danni dello Stato, intanto si indebita con negozianti e usurai e poi quando quei soldi finalmente arrivano, con quelli che rimangono insomma una volta pagati i debiti, comprano soltanto una macchina nuova, simbolo di riscatto sociale, nuovo status e stupido vezzo che, ahimè, colpisce anche realtà umili e virtuose come queste.
Si ride con le scene sulla spiaggia così verdoniane, si piange per quell'omicidio così efferato della bambina e quell'urlo di Servillo che prova a raggiungere la telecamera che va sempre più su. si rimane tra il divertito e lo sconfortato a seguire tutte le trafile giudiziarie e le storie di usura, si sorride amaramente con la spettacolare scena della benedizione del prete, si ha paura quando il padre scopre cosa ha fatto il figlio alla macchina e poi si rimane di sasso, basiti, storditi, ma al tempo stesso affascinati e in contemplazione per la sopracitata scena della nonna. Altro che tragicommedia, l'anima del film è nera come la pece.
E Ciprì ci regala i volti che lo hanno reso famoso, quelli di Cinico tv, st'umanità grottesca, laida, quasi deforme, divertentissima e tremendamente tragica.
E Servillo è il nostro Messi(a) che regala magie ogni volta che ha una telecamera davanti.
Ma qui, inutile dirlo, c'è una meravigliosa bambina (che bello il suo orgoglio a non girarsi alla spiaggia quando la macchina va via, che bello) orrendamente uccisa e un altro ragazzo con la vita devastata senza aver fatto nulla.
E' stato il figlio diranno.
Che i sensi di colpa li accompagnino sempre.
Almeno questo.
( voto 8 )

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