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Al Cinema: Recensione "Prisoners"

Creato il 11 novembre 2013 da Giuseppe Armellini
leggerissimi spoiler
Senza ombra di smentita uno dei più grandi thriller degli ultimi 10 anni e probabilmente il migliore della
seconda decade del secolo.
Aspettavo Villeneuve con ansia dopo quel capolavoro indimenticabile che è La donna che canta e me lo ritrovo hollywoodiano in un thriller vecchio stampo pieno zeppo di attori multimilionari.
Il rischio che anche questa volta il soldo avesse avuto la meglio sull'ennesimo regista di talento non americano era forte e invece, capperi, altra opera grandiosa. A questo punto mi tocca recuperare Polytechnique con il serio rischio di trovarmi davanti il miglior terzetto di film che abbia mai visto in un nuovo regista.
Siamo dalle parti di un Mystic River, di un Gone Baby Gone o per quanto riguarda le indagini di uno Zodiac, dalle parti cioè di quei film cupi e grigi, dove i crimini si commettono in un retroterra caratterizzato da un'umanità gretta, dove tutti hanno qualche scheletro nell'armadio, dove più che quello del thriller viene fuori un clima triste, doloroso, denso e sporco, tanto sporco.
Se in Incendies Villeneuve prese di base la matematica e un'equazione, una terribile equazione che chi ha visto il film ricorderà benissimo, questa volta al posto della matematica c'è il labirinto, vera e propria icona del film, che ne simboleggia però anche la struttura, una struttura per la quale sembrano tante le porte per uscirne fuori per poi rivelarsi tutte sbagliate. Solo alla fine, come sempre, si ritroverà la sola uscita disponibile. Ma forse è troppo tardi...
Uno sicuro della sua personale uscita dal labirinto era senz'altro Keller (un ottimo, un pò magro e invecchiato Jackman), convinto che la soluzione di tutto fosse dentro la testa bambinesca di Alex (uno straordinario Paul Dano, qui da poco visto in Ruby Sparks, per la serie giovani attori non belli e di solo talento crescono).
E' indubbio che il rapporto tra i due, la prigionia/tortura cui Keller sottopone Alex è uno dei punti forti del film. Va in parallelo con le indagini più "classiche" del detective Lockee, per una volta un detective senza grandi misteri nel passato, traumi, casi non risolti o terribili segreti, bene così.
E la struttura funziona alla grande portando lo spettatore a decine di congetture in un clima però, come dicevo, di profondo dolore, malinconia, angoscia, per la sorte cui sono andate incontro le due bimbe.
La regia è fenomenale, come successe in Incendies non si contano le scene costruite magistralmente (il panico che piano piano monta quando le due famiglie si accorgono della scomparsa delle bimbe, la cattura nel camper sotto la pioggia, la corsa sfrenata in macchina finale), la bellezza di certe inquadrature (il fiume su tutte, ma anche delle lentissime carrellate in avanti morbide come lana) e netta è sensazione che qui ci troviamo davanti a un film che mixa classicismo e stile personale in modo superbo.
Poi ci sono Maria Bello, Terrence Howard, Viola Davis, la solita immensa Melissa Leo, ragazzi, questa è l'eccellenza.
E' vero, concatenare le (3,4?) varie vicende tra loro crea qualche difficoltà, qualche passaggio risulta forzato (ma quale thriller non ha svolte d'indagine un pò esagerate?) e unire i pezzi del puzzle o trovare l'uscita del labirinto porta alla fine a qualche domanda di troppo. In più specie nella parte centrale ho accusato un leggero calo di ritmo ma c'è poco da fare, questa è una macchina che funziona a meraviglia per due ore e mezzo.
Merito di una sceneggiatura, non di Villeneuve, solida come il granito che esalta ogni piccolo dettaglio.
Come quella frase "non hanno pianto finchè non le ho lasciate" che sussurra Alex a Keller, frase che giustifica e riempe di mistero tutto quello che avverrà dopo.
O come quel fischietto rosso.
E quel flebile fischiare.
Ascoltalo Lockee.
Sei solo nel silenzio.
Ascoltalo.
( voto 8,5 )

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