Alla base del nuovo attesissimo lavoro del regista danese c’è un atto di fede. Il credo di Von Trier combatte i pregiudizi sul mondo pornografico e stravolge i canoni del genere meno raffinato ma più guardato al mondo, suggerendoci per vie inconsuete (in maniera un tantino freudiana) che dal sesso tutto parte e al sesso tutto ritorna; indagando i nostri più bassi istinti arriveremo alla cognizione dell’universo che ci sovrasta e delle regole che lo governano.
Regia: Lars Von TrierSceneggiatura: Lars Von Trier
Paese: Danimarca/Germania/Francia/Belgio/UK
Genere: Drammatico
Interpreti:
Charlotte Gainsbourg
Stellan Skarsgård
Stacy Martin
Shia LaBeouf
Christian Slater
Uma Thurman
Consigliato a: fans di Lars Von Trier, chi ha apprezzato la trilogia sulla depressione, chi ama ridere nei momenti tragici
Sconsigliato a: chi si aspetta un porno, chi non ama in genere i film nord europei, chi non possiede un po’ di sano black humor
Nella cronaca dell’autodichiarata ninfomane Joe c’è tutto il cinema di Lars: la trilogia della depressione, la cecità e la frustrazione di Selma di “Dancer in the dark”, la solitudine e la routine di Grace in “Dogville”, nonché la morbosa volontà di attenzioni di Bess in “Le onde del destino”.
A 5 anni Joe scopre di avere una vagina e nel suo racconto adulto con Seligman, paragonabile ad una lunga seduta tra paziente ed analista, i parallelismi universali di un unico grande Diorama affiorano attraverso un montaggio mozzafiato in cui l’immagine viene manipolata da scritte, figure, disegni e riquadri; dove l’anatomia, la biologia, l’aritmetica e la musica occupano uno spazio dominante nel grande mosaico della vita. Von Trier cerca di disegnare il suo cerchio perfetto, il film-enciclopedia della sua filosofia e dell’amore, quell’ingrediente segreto capace di dar senso all’eros, il quale ci distingue dall’accoppiamento delle rane e dei conigli (sotto la cui indagine cominciò la ricerca dei numeri di Fibonacci) e che ci fa divenire ora prede ora cacciatori.
Siamo tutti un po’ ninfomani in fondo, sembra sussurrarci Lars; la società moderna è bulimica di piacere, fagocita orgasmi fisici e mentali incurante del suo egoismo e delle sue derivate conseguenze: niente ci basta mai e, come drogati, vorremmo sempre il massimo del godimento con il minimo sforzo. Non c’è quindi da stupirsi che Joe abbia iniziato un’escalation di perdizione dalla sua prima volta in avanti.
Ci ha provato a favoleggiare l’amore romantico, ma nel momento in cui il suo cuore era ancora vergine da riprovevoli trattamenti ha incontrato chi la vedeva solo come un’addizione di movimenti in avanti e dietro, un 3+5, quando lei avrebbe solo voluto esser un numero primo ed indimenticabile. Da lì in poi una vendetta, contro le aspettative tradite, contro se stessa, contro tutti quei peni e quei corpi che mai l’avrebbero fatta sentire in colpa al cospetto della sua nuova religione tradotta nel motto: “Mea vulva, mea maxima vulva”.
La donna (e indirettamente l’uomo) di Von Trier può esser indenne a tutto tranne che alla morte: nel sofferente capitolo “Delirium” i colori cambiano e tutto diventa nuovamente in bianco e nero. Qui assistiamo ad un’ottimistica presa di posizione rinnovata sull’ineluttabile, dove, prendendo in prestito la filosofia Epicurea (“la morte non è nulla per noi perché quando ci siamo noi non c’è lei e quando c’è lei non ci siamo più noi”), ci riscopriamo fragili come le foglie di un tiglio, sottoposti alla caducità non facciamo altro che trovare rifugio nella lussuria (e quella scena della gamba bagnata da un rivolo di libidine è qualcosa che faticheremo a dimenticare, raramente Lars ci ha regalato inquadrature più belle).