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Di Michele Giacci. Al di là della vita, uscito 15 anni fa, riafferma il ruolo di Martin Scorsese come il Dante del Cinema. Creando la sua aria di tormento notturno, il regista premio Oscar, racconta ancora una volta l’inferno in terra. Dopo tutto, New York City ha avuto il suo restyling estetico e, anche il regista giustamente, si cimenta in qualsiasi storia possa raccontare la crescita e le sofferenze della città.
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Scorsese pedina il suo personaggio nell’arco di cinquantasei ore, tre dannatissime notti di lavoro accanto ad altrettanti compagni: il fatalista Larry, il religioso Marcus e il sociopatico Walls (che quando esce in missione ghigna: ”Il sangue zampilla nelle strade, andiamo a spassarcela!”). Per Pierce salvare una vita umana ”è la droga più potente del mondo”, ma quando poi lo incrociamo a bordo della sua ambulanza, mentre uno spietato blues elettrico scaraventa il pubblico nella traslucida notte newyorkese, l’uomo ormai è un relitto. In ogni paziente, in ogni corpo, in ogni anima che raccatta per strada rivede il volto della giovane puttana portoricana che non riuscì a salvare dalla morte. Annullando ogni barriera tra sé e la sofferenza, Pierce carica sulle proprie spalle i destini del mondo, prima che lui stesso venga sconfitto dallo stress.
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Nel suo turno, in quella parte di New York City, Frank tenta disperatamente (e non) di salvare pazienti che sembrano tutti in fuga da un demone, cercano di distruggere loro stessi, mentre Frank cerca il miracolo che lo porti alla normalità. Vuole scappare dalla sua miseria e fa del suo meglio per essere licenziato, girando le strade con l’alcol come unico modo per alleviare il dolore. Nel corso del weekend, cavalca la notte con una varietà di partner, tra cui uno psicotico Tom Sizemore. Va alla deriva attraverso i relitti dell’umanità che non sanno nemmeno morire, mentre lui ancora una volta, inesorabilmente, lotta per evitare di annegare in se stesso.
Al di là della vita è un’intensa pellicola piena di dolore e umorismo mordente. Diventa anche un mix di stati d’animo contraddittori, opportunamente impastati per soddisfare le sollecitazioni di Frank. Lo stile visivo di Scorsese raggiunge livelli altissimi con luci e ombre che delineano la caduta del protagonista o ne sanciscono l’eventuale ritorno alla luce. Nessuno usa il movimento di macchina come fa Scorsese e Dante Ferretti, lo scenografo, convoca a lui il West Side di Manhattan, con la stessa cura come ha fatto col Tibet di Kundun e la Las Vegas di Casino.
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