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Al lupo al lupo!

Creato il 22 febbraio 2012 da Pythia
Sottotitolo: vendesi cervello nuovo, mai usato.
Il bello del nostro villaggio globale, in cui le notizie viaggiano alla velocità di un viral o di un #hashtag, è che ci sentiamo tutti partecipi di quello che accade, appena esso accade. L'entusiasmo di sentirsi parte di un fenomeno di massa di portata nazionale, o magari internazionale, è impagabile. Il cinguettio di rimbalzo di notizie choc ha la forza di una valanga. Non ci si sofferma a leggere a mente fredda il messaggio ricevuto, l'importante è farlo rimbalzare da un social all'altro.
Così le bufale si alimentano e ingrassano, basti pensare al caso del latte ribollito più volte (in riferimento a indicazioni tipografiche del tetrapak), o al bambino che chiede l'autostop (da consegnare in caserma immediatamente!), o alle varie richieste di sangue/midollo/reni per un povero bambino malato (le più vergognose).
In queste ore sta rimbalzando un appello che sventola la bandiera della censura: una multinazionale vuol far chiudere un sito italiano, un blog-rivista di arte, design e cultura, creato da un gruppo di appassionati  del settore con tanti sogni e anche tanta ingenuità.
La coca-cola vuol far chiudere Cocacolla.it per una lettera in più nel nome.
Scandalo. Censura! Vergogna!!!
Ragazzi, avete letto il comunicato stampa? Cito: "Sapevamo che prima o poi qualcosa sarebbe potuta accadere".
Ok, è assurdo che un colosso della portata della Coca-Cola si metta contro un moscerino indifeso. Ridicolo che qualcuno dall'altra parte dell'oceano pensi a una frode, a un farsi belli e famosi sulla notorietà duramente guadagnata in tanti anni di attività.
Fa sorridere e bonariamente si pensa "che male gliene viene?", in fondo il blog non parla di bibite gassate ma di tutt'altro. Cercando "Coca-cola" in rete si arriva alla bibita, non certo a un piccolo sito che siamo certi non aveva alcuna intenzione di attirare su di sé l'attenzione delle masse sfruttando un nome arcinoto.
Ma la Coca-cola ha ragione. Il suo è un marchio registrato e per quanto si possa giustificare l'iniziativa dei nostri compatrioti con il nostro tipico buonismo un'operazione come la loro è scorretta.
L'"avvocato specialista in diritto industriale e in proprietà intellettuale" cui si sono rivolti i Cocacolliani ha sconsigliato di imbarcarsi in un'impresa persa in partenza. Non è solo perché è Davide contro Golia, è perché legalmente i signori che tutti difendono a spada tratta hanno torto marcio.
Si grida alla censura perché i titolari del sito hanno deciso di chiudere il dominio: censura è quando un contenuto viene oscurato ingiustamente senza una causa plausibile. Qui non si sta parlando di contenuti cancellati, ma di una conseguenza spiacevole ad un'azione ingenua e sconsiderata. Il periodo di buio, di irraggiungibilità del sito sarà solo un momento di transizione verso un nuovo dominio, con un nuovo nome (originale questa volta, si spera), et voilà tutto sarà leggibile e consultabile come prima.
Questa io non la chiamo censura, la chiamo chi è causa del suo mal pianga sé stesso.


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