Mercurio, Alaskan Malamute di 9 mesi, sperimenta il suo primo giardino, dopo sette mesi di vita in appartamento.
Mercurio, il mio primo cucciolo di Alaskan Malamute, ha vissuto i suoi primi sette mesi di vita in un appartamento a Roma. La casa, in condominio su via sovappopolata, è dotata di un piccolo balcone utile solo per l’asciugatura dei panni e le dormite (strette) del cane.
Durante le vacanze estive, invece, abbiamo garantito a Mercurio soluzioni abitative comprendenti sia il giardino, sia il cortile. In Friuli Venezia Giulia, la mia regione d’origine, è più semplice affittare delle case più a misura d’uomo, in contesti rurali e agricoli densi di stimoli, a bassissimo tasso di stress (per gli umani e per gli animali).
In questa varietà di esperienze, Mercurio si è confrontato con nuovi limiti e libertà. Noi abbiamo constatato quanto sia diversa la vita in una casa con giardino e non in condominio e abbiamo beneficiato di questi strumenti per disintossicare la gestione delle uscite (per piacere e non per obbligo), facendo emergere il relax. Vi porto la mia esperienza, per quel che può valere, così, se state pensando di adottare un cucciolo di Malamute, potrete valutare anche questo aspetto prima di fare il grande passo.
La vita di Mercurio in un appartamento condominiale, in una delle zone più popolate e trafficate di Roma, è complicata. Così tanto complicata che, unendo più difficoltà, noi per primi stiamo pensando di trasferirci quantomeno in periferia. Le difficoltà sono tante. Per un cane, vivere in un appartamento significa sottostare alle regole condominiali: gli spazi a disposizione sono limitati (anche con 200 mq di casa, prima o poi, il cane si sente in un acquario), i ritmi dei suoi bisogni fisiologici sono stabiliti dalla nostra disponibilità nel portarli all’aiuola più vicina, il tipo di giochi e di sfogo a cui possono accedere sono proporzionali al piano, alla grandezza, alla mia presenza in casa, al tipo di vicini (amanti, tolleranti, cinofobi, potenziali serial killer).
In generale, in base alla dislocazione degli ambienti, l’animale potrà godere di una minore o maggiore indipendenza e privacy; se l’appartamento è open space e il cane passerà tutto il suo tempo con una persona (perché lavora a casa oppure è pensionato/disoccupato), il rischio di “stress da solitudine/abbandono” nei momenti in cui l’animale dovrà stare da solo potrebbe essere elevato perché, mancando porte per delimitare gli spazi, è più difficile insegnare al cane a stare da solo in casa isolando gli ambienti per un certo periodo di tempo, senza sentirsi obbligati ad uscire per forza per far abituare il cucciolo al vivere sereno l’assenza del proprietario. Stesso discorso se, invece, il cane passerà tutto il suo tempo da solo, in casa, nell’attesa che il proprietario ritorni dopo le sue ricche nove ore di lavoro e tre di trasporto pubblico in Roma (una prassi per molti cittadini dell’Urbe).
Quando Mercurio ha conosciuto il cortile di 100 mq, con giardino annesso (di altrettanti 150 mq), mi ha fatto capire la sua preferenza per questo genere di soluzione. Il giardino non risolve tutti i problemi, ma aiuta a gestirne molti, primo fra tutti l’annoso cruccio delle pipì dentro casa che, con uno spazio verde a disposizione, venivano fatte tutte all’esterno. In città, invece, non solo si è obbligati a portare i cani in strada, ma bisogna anche trovare il posto in cui ti è concesso far defecare i cani senza turbare l’equilibrio psichico dei commercianti, dei pedoni, dei ciclisti, dei turisti, dei vigili urbani, degli autisti di autobus e, infine, degli infanti (perché, si sa, ai bambini fa schifo vedere un cane che fa la cacca, si mettono a piangere e tu crei un problema alla mamma, che li deve tranquillizzare … succede anche questo a Roma!). Ad agosto, invece, i miei cuccioli hanno eletto come loro toelette l’orto della proprietaria di casa, in particolare il settore “begonie e rose”, con sincera disapprovazione della stessa e mio sollievo nella conquistata serenità di raccolta felci giornaliera. Erano autonomi. Sunrise ha imparato in un’ora quello che non le riusciva fare nell’appartamento a Roma: fare tutte le pipì sempre fuori. Ho smesso di dannarmi con la pulizia del pavimento e la ricerca del detergente perfetto per levare l’odore di urina dalle piastrelle. Questo, tradotto in ore, significa aver guadagnato due ore di vita da dedicare al mio lavoro di libera professionista. Vi pare poco?
Nel periodo – benedetto da Dio – in cui Mercurio e Sunrise hanno avuto a disposizione il giardino è cambiata anche un’altra questione centrale: l‘uscita mattutina. Le mie due belve, infatti, hanno iniziato a passare il loro tempo, dalle 05:00 alle 07:00 a correre tra il patio, l’orto, le aiuole e il cancello, svagandosi con legni, uccellini, rane, scavi archeologici e momenti di profumerie tra i cespugli di lavanda, bacche e fiori secchi. Io, nel mentre, invece di alzarmi dalla disperazione e portarli fuori, nel parco comunale, isterica dal sonno e dal rodimento per gli spiacevoli incontri con i ciclisti e gli altri personaggi della zona, ho potuto dormire (!!!!!!) almeno un’ora (!!!!!!) in più, con conseguente incremento del mio equilibrio psico fisico (o, sarebbe meglio dire: bio-psico-sociale). Fatta la mia colazione in santa pace (!!!!!), mi sono potuta vestire con calma (!!!!!!), guinzagliarli e scegliere il luogo nuovo in cui portare i cuccioli a sgambettare, vista la loro intensa energia. Senza l’urgenza data dalla compressione prodotta dall’assenza di stimoli di una casa tipica di Roma.
Mercurio, abituato alla promiscuità degli ambienti a causa dell’open space, ha conosciuto – finalmente! – la privacy e la libertà di dormire tutte le notti sotto le stelle, anche con la pioggia, sotto tettoie di legno oppure all’addiaccio, sui sassi, a pancia all’aria. Veniva vicino quando aveva voglia di stare con noi; stava lontano quando desiderava momenti di solitudine serena; giocava con Sunrise quando ne aveva voglia. I giorni in cui, per un motivo o per l’altro, non siamo usciti in passeggiata, non sono stati tragici perché loro si sono comunque divertiti giocando in autonomia. In tutti gli altri giorni, invece, le uscite si sono protratte per due ore, volando fra giochi nell’acqua e divertimento fra i campi, caratterizzate tutte da uno spirito di serenità e felicità nel vivere il momento insieme, senza l’obbligo del farlo. La prospettiva era cambiata: tutti abbiamo cantato inni di ringraziamento in coro e abbiamo anche espresso i nostri desideri riuscendo non solo a scorgere le stelle nel cielo, ma anche ad ammirare le stelle cadenti a San Lorenzo! A Roma, le stelle in cielo sono frutto dell’immaginazione attiva dei cittadini.
Tornati a Roma, la nostalgia per il giardino e la depressione cosmica si è impossessata di tutti noi. Mercurio e Sunrise sono come due Jacopo Ortis con coda e pelliccia. Noi, nel mentre, ci stiamo attrezzando per entrare nello Stargate.
Se posso permettermi un’opinione, il giardino è utile al proprietario più che al cane. In Friuli Venezia Giulia abbiamo incontrato solo cani tenuti in giardino. Tutta la vita, in giardino. Alcuni dei quali, ancora bloccati alla catena, poco socializzati, timorosi di ogni cane nuovo incontrato di striscio per strada. L’aspetto problematico del giardino è questo: la pigrizia del proprietario può trasformare un cane dalle potenzialità positive in un animale assetato di sangue, desideroso di sbranare chiunque osi attraversare la strada sul lato del proprio portone. Questo perché la noia e l’insicurezza sono due ingredienti perfetti per l’aggressività. Un cane che conosce solo il mondo racchiuso dalla propria siepe ben potata, non è un animale felice. Vale, quindi, sempre il solito discorso sul tenere bene un cane, sul fargli vivere esperienze diverse, socializzarlo, dargli modo di ampliare le proprie vedute e sicurezze attraverso l’incontro con varie realtà, educarlo a comportarsi bene anche se si vive in campagna.