Respiri piano per non far rumore, ti addormenti di sera ,ti risvegli con il sole sei chiara come un’alba sei fresca come l’aria. Diventi rossa se qualcuno ti guarda e sei fantastica quando sei assorta nei tuoi problemi ,nei tuoi pensieri. Ti vesti svogliatamente non metti mai niente che possa attirare attenzione, un particolare solo per farti guardare.
E con la faccia pulita cammini per strada mangiando una mela coi libri di scuola
ti piace studiare non te ne devi vergognare. E quando guardi con quegli occhi grandi
forse un po’ troppo sinceri, sinceri si vede quello che pensi, quello che sogni….
Qualche volta fai pensieri strani con una mano, una mano, ti sfiori, tu sola dentro la stanza
e tutto il mondo fuori.
Anno 1979 ,Albachiara è una canzone di Vasco Rossi (scritta da Rossi per il testo e da Rossi con Alan Taylor per la musica), apparsa per la prima volta sull’album:Non siamo mica gli americani (1979). Per via del successo di questo brano, lo stesso album fu in seguito ridistribuito con il titolo di Albachiara. E’ la canzone che in genere apre e chiude i concerti di Vasco, una canzone simbolo che non tramuterà mai nel corso dei decenni. Vasco in un’intervista disse che il giro di accordi della canzone fu trovato da Massimo Riva, suo storico amico. Vasco ascoltò il pezzo e, tornato a casa, la arrangiò con il testo noto. Vasco Rossi ha dichiarato di aver scritto Albachiara di getto, aspettando mentre la madre cucinava, ispirato da una ragazzina di tredici anni che vedeva sempre passare alla fermata della corriera di Zocca. Al termine della canzone si allude alla masturbazione praticata dalla ragazza. Albachiara fu il primo grande successo di Vasco, la canzone è stata fonte d’ispirazione per il film di Stefano Salvati Albakiara (2008), nel quale ha recitato il figlio Davide.
Vasco Rossi nasce a Zocca, in provincia di Modena il 7 febbraio 1952, diplomatosi in ragioneria, si iscrive dapprima ad economia e commercio e successivamente a psicologia
Nei miei pensieri molto simili al testo originale della canzone, è esistita veramente una ragazzina di 15/16 anni, che ogni sera prendeva l’autobus n.5 per andare alle scuole serali di ragioneria. Solo la seconda classe fu da lei frequentata al corso serale, causa un problema di salute gravissimo occorso alla madre. Chissà perché i genitori, severi com’erano, le fecero questa enorme ed ambita concessione: uscire 5 sere la settimana ed il sabato pomeriggio, anche se per motivi di studio. Quindi prendere un autobus alle 19 circa, quanon papà era molto stanco e non l’accompagnava con la mitica SIMCA 1000, per poi rientrare verso mezzanotte accompagnata dai compagni/e più grandi che guidavano già l’auto. La ragazzina, timida ed impacciata, capelli lunghi e già biondi, ma conscia del potere che emanava già sul sesso maschile (purtroppo!), indossava spesso capi di abbigliamento dismessi della sorella ed adattati a lei, più bassa e con molto meno seno della sorella. Quella sera precisa di primavera, che ho fotografata nella mia mente come fosse ieri, la ragazzina, scendeva dall’autobus timida ma fiera di essere com’era. Non le consentivano nemmeno di fare una ceretta alle gambe, di togliersi i primi baffetti, causa degli ormoni, suo padre l’avrebbe picchiata a sangue! Non erano cosa per ragazze serie dicevano i genitori, soprattutto la madre, meno male che non era molto dotata in fatto di peli! Indossava spesso una gonna a pieghe taglia 40, un paio di gambaletti al ginocchio (orrore con il senno di oggi!) e sopra un paio di calzine di cotone ricamate, corte sino alla caviglia. Completava l’insieme un golfino cortissimo annodato dietro la schiena di un color rosa fragola, o rosa come le chewingum Big Babol. Il golfino era striminzito ed aderente, di mohair ricordo, che lasciava intravedere, oltre le costole, anche un seno molto piccolo che sarebbe aumentato solo dopo le gravidanze. Le scarpe erano molto basse, le prime paperine con il fiocchetto, naturalmente rosa e di vernice. Credeva di essere già grande e si passava sulle labbra, in piazza della Vittoria, davanti ai passanti increduli per l’epoca, il suo lucidalabbra Erano i primi in circolazione ed averne uno era molto di moda!Lo andava a comprare con la sorella, in un punto vendita di Reggio Emilia, chiamato “La stalla di Delmonte”, in una vicolo laterale a Via Toschi. Delmonte aveva tutte le marche di prodotti per la cosmesi e per la casa, fu a mio dire il precursore dei vari target, limoni, vaccari, la saponeria… Erano lucidissimi e attaccaticci come lucido da scarpe! Rimanevano per ore attaccati alle labbra e non sbavavano per niente. L’adolescente aveva i libri in mano, legati con un elastico molto robusto, che si chiudeva con un gancio, sapeva di scuola quell’elastico, di gomma da cancellare e tutto l’insieme la faceva apparire come una studentessa modello di un College americano. Ella non era per niente preparata e conscia di ciò che le sarebbe accaduto dopo, non comprendeva perché alcuni Insegnanti maschi ed anche il Prete che le insegnava religione avessero perso la testa per lei. Queste cose erano per lei inconcepibili anche al sol pronunciarle, ma gliel’avevano detto gli altri, quelli più grandi ed il brusio con voci di corridoio pesanti avva creato attorno alla ragazzina domande e quesiti imbarazzanti. Ma lei non ci badava e non credeva a una sola parola, negli anni a venire dagli stessi insegnanti le fu confermato quanto si andava dicendo secoli prima. Lei, guardava timidamente, i ragazzi più grandi di lei, quelli che avevano già la Vespa o l’auto. Più si mascherava, più si vestiva non come le sue amiche ed in modo ridicolo a suo dire, più era cercata, ma a lei non importava un fico secco. Voleva molto di più. Le scuole serali furono un anno di poco studio ma di molte esperienze di vita: quasi tutti i compagni erano già sposati e alcuni con figli, lavoravano otto/dieci ore al giorno ma desiderano e ambivano il Diploma Statale di Ragioneria. Tanto di cappello!Aveva dei compagni poliziotti, guardie carcerarie, infermieri, sarte, operai, commesse, muratori, elettricisti, persone che non sapevano una sola parola d’italiano, persone extracomunitarie, spazzini (ora guardie ecologiche) insomma un mondo vero, fatto da persone vere che volevano assolutamente essere istruite e conseguire quel prezioso pezzo di carta! L’anno finì, io fui iscritta alla terza diurna e non li rividi quasi più, avevo lasciato però dentro di loro alcuni dei pezzi di me indelebili e loro altrettanto, in fin dei conti ero un poco la loro mascotte essendo la più piccola di tutto il corso serale! Una sera, con l’insegnante di turno, andammo al cinema invece di fare lezione a vedere un film di Dario Argento “Quattro mosche di velluto grigio”. Ebbi molta paura ma non lo diedi a vedere, volevo essere grande anch’io. Per quanto riguarda l’ultima strofa della canzone, imparai molto tardi che cosa significava e imbranata anche in quell’occasione, non riuscivo a trovare il punto giusto! Sembra fantascienza se una signora “abbastanza bene” di oggi racconta che non sapeva trovare il o la clitoride! Eppure è così, fu uno dei miei crucci maggiori, ma anche in quell’importante e delicata occasione piano piano riuscii a capire. Sono trascorsi 35 anni dall’uscita di quella canzone, ma oggi come allora la sento mia, scritta solo per me, la canzone che mi rappresenta maggiormente, anche se so che moltissime di voi si ritroveranno in questa meravigliosa ninna nanna.