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ALBANIA: Quando la Pivetti disse “Buttiamoli a mare”. Intervista ad Alessandro Leogrande

Creato il 21 dicembre 2011 da Eastjournal @EaSTJournal

di Geri Zheji Ballo

ALBANIA: Quando la Pivetti disse “Buttiamoli a mare”. Intervista ad Alessandro Leogrande

Il naufragio della Kater i Rades in un libro di Alessandro Leogrande

E’ il 28 marzo 1997. Circa 120 donne, uomini e bambini, partiti da Valona a bordo della motovedetta Kater i Rades, naufragano nel Canale d’Otranto a seguito della collisione con la Sibilla, corvetta della Marina militare italiana. Ottantuno sono le salme recuperate, una ventina i dispersi. Per sopravvissuti e famiglie delle vittime inizia un lungo percorso processuale verso l’accertamento della verità su quella notte e sulle dinamiche che hanno portato allo scontro tra le due imbarcazioni.

Questo l’accadimento alla base del libro “Il naufragio” scritto da Alessandro Leogrande per Feltrinelli. Anni di “tignosa” ricerca per arrivare a ricostruire le storie delle persone salpate da Valona e mai arrivate dall’altra parte del Canale di Otranto. Ma anche per ricomporre i frammenti di ciò che è seguito, dal processo per i comandanti delle due imbarcazioni, Fabrizio Laudadio e Namik Xhaferi, alle indennità non riconosciute ad alcuni tra i parenti delle vittime. In mezzo tante zone d’ombra da provare a chiarire, come la catena di comando che guidò le manovre del capitano della Sibilla quella notte: il nastro delle comunicazioni intercorse tra la corvetta e chi comandava le operazioni da terra è inascoltabile nei 40 minuti nel corso dei quali è avvenuto lo speronamento. Senza dimenticare un contesto politico incandescente che portava l’ex presidente della Camera, Irene Pivetti, a dire «buttiamoli a mare» e ritorna nelle parole pronunciate in tribunale dall’ammiraglio di squadra della Sibilla: «abbiamo visto le donne e i bambini, ma pensavamo che dietro ci fossero uomini con il mitra».

«Il naufragio del Kater i Rades è stato uno spartiacque per la mia generazione – spiega Leogrande – in più è “raccontabile” a differenza dei naufragi di chi partiva dalla Libia, che finiscono nel buio sia per mancanza di contatti con la società civile del luogo sia perché gli accordi bilaterali esistenti tra questo paese e l’Italia non permettono di andare a ricostruire le storie dei sopravvissuti, subito riconsegnati alle autorità libiche. Con il Kater, invece, si è creata una “comunità valonese” che affronta insieme il dopo-naufragio». Ancora oggi. Perché il processo è arrivato solo al secondo grado di giudizio.

«Il Kater i Rades era lungo come tre porte da calcio, con 120 persone sopra – spiega Luca Rastello, intervenuto con Gianni Amelio alla presentazione del volume di Leogrande alla libreria Feltrinelli di Torino – L’unico ordine dato quella notte che sia stato decifrato con certezza è quello di “avvicinarsi finanche quasi a toccare”. Chiunque è stato in mare, come spiega bene Alessandro, sa che questo è quasi un ordine di speronamento. Analizzando ogni termine che compone l’ordine, Alessandro approssima un risultato con una precisione che nessuna operazione di memoria, di narrazione, di ricostruzione politica, potrebbe compiere».

Giudizio condiviso da Gianni Amelio, celebre regista di “Lamerica” partito verso l’Albania per girare il film  e tornato con una famiglia: «Io ho un figlio albanese, ho una famiglia albanese. Quello che mi ha colpito del libro è la precisione di Alessandro, il suo non dare niente per sentimentalmente scontato».

Tanto da percorrere i cimiteri dell’Albania alla ricerca dei nomi delle vittime, che non compaiono da nessuna parte. «Ricordo che Giorgio Agamben (docente e filosofo tra più importanti in Italia, nda) qualche giorno dopo che si ebbe notizia dell’accaduto scrisse in un articolo l’atto di accusa più grande che si potesse lanciare – commenta Amelio – erano due le liste di nomi che lui chiedeva: quelli di chi era finito in mare e i nomi di chi aveva dato gli ordini di avvicinarsi fino a sfiorare». Alessandro ricostruisce nomi e cognomi degli ottantuno morti tenendo conto delle diversità tra tosco e gego e nonostante per le molte donne annegate sia più complicato visto il cambiamento di cognome che segue al matrimonio. «Ma è stato complesso trovare anche i nomi dei responsabili dello speronamento» afferma l’autore. Altre informazioni avvolte nell’ombra, da illuminare.

Cosa pensa Leogrande della recente presenza dell’ex onorevole Pivetti all’ambasciata albanese di Roma, dove in occasione della Festa d’Indipendenza albanese ha presentato un documentario girato per raccogliere fondi in favore di un impianto sportivo di eccellenza da realizzare in Albania?
«Questo è il motivo per cui è importante scrivere libri – risponde Alessandro – l’Italia è una paese di Gattopardi, tutto cambia perchè nulla cambi. Corriere della Sera alla mano, quella che fino a pochi mesi prima era stata Presidente della Camera affermò che gli albanesi andavano buttati a mare. Ma la cosa più delirante è che il giorno dopo il naufragio, reintervistata, la Pivetti disse “non cambio la mia opinione, vanno comunque usate forme di respingimento”. Mi stupisce che ci sia accettazione da parte delle autorità albanesi».

«Lancio un appello affinché questo libro possa essere tradotto in albanese. Io mi offro per aiutarvi in questo – interviene Gianni Amelio – molti albanesi sanno parlare l’italiano, alcuni lo sanno leggere. E leggendo quello che è stato scritto finora finiscono per crederci. Le vittime credono alle verità dei carnefici! C’è bisogno di scuotere il fatalismo che a volte si trova in Albania a proposito del destino di coloro che sono partiti e che potevano arrivare dall’altra parte come potevano invece non arrivarci mai. Serve questo libro per leggere l’altra verità».

E se secondo Leogrande «l’arrivo delle navi nel ’91 per noi è stato come la caduta del Muro di Berlino – anche la reazione a quegli arrivi è da raccontare fuor di retorica – Langer scrive tra i primi sull’Albania sostenendo che le politiche di immigrazione adottate equivalgono a ripristinare il Muro di Berlino. Tutta la cultura dei CPT e dei CIE inizia in quegli anni in Puglia dopo gli sbarchi».

Così si sottolinea ulteriormente come la tragedia del Canale d’Otranto non abbia insegnato nulla, anzi «l’episodio del Kater costituisce l’antecedente legale di quella che è diventata una politica sistematica non solo dell’Italia ma dell’Unione Europea - riprende Rastello – Il diritto d’asilo è un pilastro di tutti i documenti con cui l’Europa si costituisce come civiltà. Ma oggi chi cerca di esercitare questo diritto viene respinto in mare in maniera militare molto simile a quella in cui sono stati respinti i naufraghi della Kater i Rades, con la benedizione dei governi, dell’Unione Europea e di accordi bilaterali che vincolano gli Stati a una collaborazione che comprende speronamenti, respingimenti in mare, operazioni militari, incarcerazioni, deportazioni con aerei, indipendentemente da quale sarà il luogo d’arrivo. E’ sotto gli occhi di tutti la storia della Libia, che non ha firmato gli Accordi di Ginevra, ma dove per anni abbiamo ricacciato una massa di persone in fuga da paesi dove vivevano sotto minaccia. Senza nessun controllo per quello che sarebbe stato da lì in poi il loro destino».

E ricorda che «secondo le stime dell’osservatorio Fortress Europe sono sedicimila i morti alle frontiere dell’Europa negli ultimi dieci anni, uccisi nel tentativo di arrivare ad esercitare quel diritto d’asilo e d’accoglienza che noi stessi abbiamo sancito. Sedicimila sono anche i morti della guerra di Croazia del 1991, quindi sarebbe ora di dire che l’episodio che Alessandro ha ricostruito è l’inizio di una vera e propria guerra».


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