Si erano incontrati al bar della redazione per un caffè e stavano parlando del più e del meno; quando il Direttore, dopo aver esibito uno di quegli sguardi limpidi che lo hanno reso famoso disse:
«Alberto, devi scrivermi qualcosa su questa storia di Wikipedia. Quegli straccioni hanno chiuso il sito per protesta contro il comma 29 del decreto sulle intercettazioni e adesso vogliono passare da vittime…»
Considerato il giornale per cui lavorava, cos’altro poteva fare il povero Alberto se non assecondare il suo Direttore superstar…
Credo che l’articolo di Alberto sia figlio della conclamata nobiltà d’animo del suo Direttore, da parte di madre; il padre, invece, non può essere che il bisogno di lavorare, perché non si spiegherebbero altrimenti le idiozie disseminate nell’articolo. Ma forse questa genesi è solo frutto della mia fantasia. In realtà, un’altra spiegazione ci sarebbe…
Scrive Alberto Di Majo:
«La nuova legge sulle intercettazioni potrebbe avere un merito inaspettato: far scomparire Wikipedia.»
La prima idiozia è servita e non c’è nemmeno bisogno di commentarla: a parte la Treccani, chi può augurarsi che scompaia uno degli esperimenti più interessanti di cultura trasversale a popoli, razze, religioni e per giunta libera e gratuita?
Ma lasciamoci avvolgere dalle spire dell’intento che ha ispirato l’articolo e godiamoci un altro sfoggio di sagacia del prode Alberto:
«L’enciclopedia sul Web, scritta e modificata dai lettori, piena di strafalcioni e di fonti incerte, ha fatto impallidire studiosi, spaventato accademici e depistato studenti convinti di avere a portata di mouse una Treccani. Quando s’è scoperto che non si trattava dell’enciclopedia Britannica, si sono levate le proteste.»
Andiamo avanti con le stupidaggini che, in questo caso, denotano anche una notevole superficialità nell’approssimazione delle informazioni riportate. Cito da uno dei tanti commenti all’articolo di Alberto Di Majo.
Il commento è contassegnato: 05/10/2011 18:06
«Immagino che l’abbia già scritto qualcuno, ma ricordo che l’attendibilità di Wikipedia non è né una falsità, né solo un’ipotesi: uno studio della rivista Nature del 2005 ha dimostrato con metodo scientifico che il numero di errori medi per voce di Wikipedia è pressoché uguale a quello dell’Enciclopedia Britannica. Ma chi ha scritto l’articolo, non conosce questi studi, e neanche Wikipedia.»
Consiglio di leggere i commenti in coda all’articolo; alcuni dei quali sono evidentemente scritti da persone che non hanno bisogno di lezioni di cultura da Sechi e compagni.
Nell’attesa che faccia effetto l’antiacido assunto a causa di quell’infausto caffè, Alberto Di Majo scrive:
«Peccato che in un’enciclopedia si cerchi un sapere «sicuro», almeno verificato da esperti e non soggetto alle modifiche di chiunque ritenga di averne le competenze.»
E poi ancora:
«D’accordo, ma non sarebbe meglio diffondere voci autorevoli? Rispolveriamo la Treccani.»
Solo qualche domanda sulle caratteristiche del “sapere sicuro e autorevole” auspicato dal giornalista.
Da quello che lui scrive, il sapere «sicuro» sarebbe tale dopo aver passato il vaglio degli esperti, ma ho un dubbio: chi dovrebbe certificare questi esperti e chi pagherebbe il lavoro di chi certifica e di chi è certificato? Perché è dai tempi di Francesco d’Assisi che non è più consigliato mettere “la mano sul fuoco”. Tanto per farci due risate, dove troveremo gli esperti capaci di definire quell’Entanglement quantistico che è il giornalismo? Cosa c’è scritto sulle enciclopedie “autorevoli” a proposito di quello che pubblicano i giornali? Come descrivono l’intreccio di false informazioni, interessi politici, carriere personali, interessi economici, lotta politica, insinuazioni su commissione, dossier manipolati, denaro, calunnie, depistaggi e quant’altro ha sostanziato la spazzatura riversata nella mente dei lettori in questi ultimi anni?
Ognuno risponda come crede a queste domande. A chi venisse voglia di capirci qualcosa di più, consiglio di seguire la vecchia ma sicura “Pista dei soldi”. Andate a leggervi la querelle tra Beppe Grillo e il Tempo e, proprio se non potete fare a meno, cercate più informazioni su Internet relative al proprietario del Tempo Domenico Bonifaci: vi garantisco che dopo una mezzora di ricerche avrete le idee chiare sul perché Alberto Di Majo ha sentito il dovere ergersi a paladino del sapere «sicuro».
Non consiglio ad alcuno, invece, di andare a scartabellare sul percorso di carriera del fulgido Direttore del Tempo Mario Sechi; perché se è vero che in ordine di tempo siamo l’ultima estrusione di ciò che siamo stati in passato (in senso psichico), saremmo indotti ad archiviare questa storia con un’alzata di spalle.
P.S.
il termine Entanglement quantistico su wikipedia è presente, e pare anche che le fonti siano autorevoli. Sulla Treccani non lo so: io sono solo un “diversamente occupato” senza reddito e per me costa troppo.