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Alcuni ospitarono angeli: l'amore di un padre contro i pregiudizi

Creato il 19 maggio 2013 da Bagaidecomm @BagaideComm
ALCUNI OSPITARONO ANGELI: L'AMORE DI UN PADRE CONTRO I PREGIUDIZITeatroindirigibile e Gruppo 360 Gradi palpitano nuovamente tra le file del teatro militante: per la seconda volta nella storia della loro collaborazione, le due iniziative culturali portano in scena “Alcuni Ospitarono Angeli”, adattamento tratto dalla quinta sezione di “Bella Ciao” di Enrico Deaglio. Bandiera per cui calcare il campo del teatro è la storia dell’amore di un padre, José Antonio Rocco, che decide di adottare un ragazzo algerino, immigrato, lottando contro i pregiudizi ed i limiti dei benpensanti che lo circondano. Vinta questa battaglia, i due devono però affrontare la più insidiosa di tutte: un vero e proprio scontro con una burocrazia miope, chiusa nella sua xenofobia e nei suoi preconcetti, che portano ad espellere Rabah e costringerlo, nella speranza di ricongiungersi alla famiglia, al tentativo estremo della clandestinità. Il grido di libertà di cui si veste l’amore tra padre e figlio è però ridotto al silenzio quando il ragazzo, arrivato in Grecia, sarà colpito a morte da una mina. Quale macabra coincidenza di sorte e tempismo, pochi giorni dopo il decesso del figlio José Antonio riceverà la sentenza del TAR in cui il decreto di espulsione – la condanna – viene annullato. Parola chiave della vicenda è “impulso”. È un impulso, inspiegabile, a cambiare la prospettiva di José Antonio portandolo ad aprire cuore e casa a ragazzi ormai privi di ogni prospettiva (i cosiddetti deprivati, in cui il labile confine di una sola vocale risuona della diffidenza di una società chiusa e spaventata da sé stessa); è un impulso, “l’impulso a delinquere” detta la sentenza di un Tribunale, a fungere da ipocrito pretesto per allontanare un figlio da un padre; è un impulso, un tono di sfida e frustrazione, a portare il ragazzo a tentare la via che lo condurrà alla morte. Il monologo racconta la storia vera di Rabah attraverso la voce di Claudio Riva, portata a consistenza di intimo, doloroso ricordo grazie ad una performance consapevole e poliedrica. Riva assume infatti le sembianze di un narratore esterno, onnisciente, che accompagna il pubblico nella rivelazione di fatti la cui portata necessita di una guida: il sentimento dominante non è la tristezza della perdita, non un sospiro di rassegnazione di fronte alla casualità degli eventi, bensì un grido di forza, di pura tenacia nei cuori dei protagonisti. La voce esterna è però alternata al ruolo di Josè Antonio, la cui sentita testimonianza ricorda la verità dei fatti e dei protagonisti – uomini, ragazzi, padri,figli, non figure astratte assunte ad exempla ma corpi vivi di sentimenti e paure come chiunque altro. La forza della messa in scena non si traduce però in una aggressione, in un abbattimento della rabbia sul pubblico per i fatti esposti. La musica accompagna qui infatti la recitazione in brani dal vivo che plasmano la parola in echi di vivo sentimento, quasi a concretizzarsi in suono dell’anima dei protagonisti ed unire quindi in un’unica entità artisti e pubblico. L’opera porta a forma tangibile la testimonianza di José Antonio, arricchendo di umanità e concretezza i temi del Festival “Intrecci Di Popoli”, organizzato dal Comune di Como. Il pubblico, uscito dalla sala, non può che respirare una nuova consapevolezza, disarmante nella sua attualità e semplicità: l’amore non ha razza, la forza non conosce barriera; la paura è la condanna stessa della cecità.
Francesca Perissinotto

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