«La pubblicità in Italia non ha mai goduto di chiara fama. Era vista come qualcosa di negativo, si parlava di 'persuasori occulti'. Negli anni Trenta, per superare questa 'vergogna', la cartellonistica si affidò agli artisti. In televisione, nel '57, proprio su questo interdetto, nacque invece Carosello».
A raccontare «l'altra faccia» della pubblicità è il critico Aldo Grasso, oggi alla mostra 'Il cibo immaginario. 1950-1970 pubblicità e immagini dell'Italia a tavola', prodotta da Artix in collaborazione con Gruppo Cremonini e Coca-Cola Italia, che fino al 6 gennaio a Palazzo delle Esposizioni ripercorre vent'anni del paese attraverso iconografia, stili e linguaggi della pubblicità del cibo e dei riti del mangiare.
«Carosello - spiega Grasso - è un'invenzione tipicamente italiana. Si aveva così paura della pubblicità, che si doveva inventare tutta una storia, un piccolo film, prima di nominare il prodotto, che poteva comparire solo nel codino finale».
Fondamentali, prosegue il critico, furono i testimonial, invenzione presa in prestito dagli Stati Uniti.
«I maggiori - prosegue - furono Ugo Tognazzi, che con Raimondo Vianello aveva inventato il programma 'Uno due tre'; e poi Mina, che che dopo 'Studio 1' rappresentava il massimo dell'eleganza. L'idea era che 'se lo dicono loro, allora si può farè. La cosa più curiosa - aggiunge Grasso - è l'insegnamento', al di là del prodotto, sul quale pesa molto il mito dell'America e la visione del futuro. Quello era il tempo dei voli spaziali e non a caso il primo Carosello della Coca-Cola, ad esempio, fu un cartone animato nello spazio con Joe Galassia dei fratelli Gavioli. Con questa formula - conclude - si potè sfatare quel mito dei persuasori occulti. Ecco perchè tutta quella gioia, quello stupore, quell'euforia e ingenuità nello scoprire l'utilità dei prodotti. Carosello non fu solo pubblicità, ma il primo grande galateo del dopoguerra».