Ma il silenzio è certo. Per questo scrivo. Sono sola e scrivo. No, non sono sola. Qui c’è qualcuno che trema. A. P.
Gli anni tra il 1960 e il ’70 hanno significato grandi sommovimenti sociali, politici e culturali. Le vite di artisti come Alejandra Pizarnik le cui opere spesso costituiscono un binomio ameno tra azione e riflessione, possano essere utili al fine di analizzare anche il momento storico e culturale in cui sono state scritte e possono inoltre costituire un ponte significativo tra le generazioni di allora e quelle presenti. A questo proposito viene qui proposto il documentario Memoria iluminada un’opera dal linguaggio cinematografico estremamente eloquente e una testimonianza importante su Alejandra Pizarnik che va oltre la biografia mirando a far comprendere insieme al poeta il nucleo creativo umano inserito nel contesto storico in cui visse. Così, diari personali, lettere, poesie, la storia della sua famiglia e gli amici, sono anche lo strumento principale per rintracciare quel percorso misterioso che dalla poesia ha portato Pizarnik all’autodistruzione. Oggi, dopo la sua morte e dopo essere stata censurata dalla dittatura, Alejandra Pizarnik è stata riscoperta dalle nuove generazioni, diventando il poeta più letto in Argentina. Eminente rappresentante del surrealismo poetico nacque a Buenos Aires il 29 aprile 1936. Battezzata con il nome di Flora Pizarnik, era la figlia di Elías Pizarnik e Rejzla Bromiker , entrambi immigrati ebrei russi che erano impegnati nel commercio di gioielli. Crebbe in un sobborgo di Avellaneda con l’unica sorella Myriam, maggiore di lei. Nel 1954, dopo il liceo, si iscrisse alla facoltà di Lettere dell’Università di Buenos Aires fino al 1957, frequentando corsi di letteratura, giornalismo e filosofia, ma senza terminare gli studi. Parallelamente prese lezioni di pittura con Juan Batlle Planas. Fortemente influenzata da Antonio Porchia, dai simbolisti francesi, soprattutto Arthur Rimbaud e Stéphane Mallarmé tra il 1960 e il 1964, Pizarnik visse a Parigi dove lavorò per la rivista “Journal” e per alcuni editori francesi. In quegli anni sue poesie e recensioni furono pubblicate in diversi giornali. Studiò religione e letteratura francese alla Sorbona, strinse amicizia con Julio Cortázar, Rosa Chacel e Octavio Paz, a quest’ultimo si deve il prologo de L’albero di Diana, la quarta raccolta di poesie uscita nel 1962, che già rifletteva pienamente la maturità del poeta Pizarnik. Tornata a Buenos Aires nel 1964, pubblicò le sue più importanti raccolte di poesia. Nel 1969 ricevette la borsa di studio Guggenheim, che le permise un viaggio a New York. Il 25 settembre 1972, all’età di 36 anni, si suicidò ingerendo 50 pillole di Seconal durante un fine settimana di permesso dall’ospedale psichiatrico di Buenos Aires, dove era stata ricoverata a seguito di una grave depressione che le era già costata ripetuti tentativi di suicidio.
L’albero di Diana di Alejandra Pizarnik
dal prologo di Octavio Paz
(…) Gli antichi credevano che l’arco della dea fosse un ramo strappato dall’albero di Diana. La cicatrice del tronco era considerata come il sesso (femminile) del cosmo. Potrebbe trattarsi del mitologico albero di fico (la linfa dei rami teneri è lattescente, lunare). E’ probabile che il mito alluda a un sacrificio per smembramento, un adolescente (uomo o donna?) veniva squartato a ogni luna nuova, allo scopo di stimolare la riproduzione delle immagini sulla bocca della profetessa (l’archetipo dell’unione dei mondi inferiori con quelli superiori). L’albero di Diana è uno degli attributi maschili della deità femminile. Taluni vedono in ciò un’ulteriore conferma dell’origine ermafroditica della materia grigia, e forse di tutta la materia, altri ne deducono un caso di espropriazione della sostanza maschile solare: il rito sarebbe soltanto una cerimonia di mutilazione magica della folgore primordiale. Allo stato attuale delle nostre conoscenze è impossibile decidersi per una delle due ipotesi. (…)
I
Ho dato il salto di me all’alba
Ho lasciato il mio corpo accanto alla luce
e ho cantato la tristezza di quello che nasce
III
Solo la sete
e il silenzio
nessun incontro
attento a me amore mio
attento alla silenziosa nel deserto
alla viaggiatrice col bicchiere vuoto
all’ombra della sua ombra
V
per un minuto di vita breve
unica a occhi aperti
per un minuto vedere
nel cervello piccoli fiori
che danzano come parole sulla bocca di un muto
VI
lei si spoglia nel paradiso
della sua memoria
lei non conosce il destino feroce
delle sue visioni
lei ha paura di non saper nominare
ciò che non esiste
VII
Salta con la camicia in fiamme da stella
a stella, da ombra in ombra. Muore di
morte lontana quella che ama il vento.
XI
ora
in quest’ora innocente
io e colei che fui ci sediamo
sulla soglia del mio sguardo
(da La figlia dell’insonnia, Crocetti Editore 2004)
A. Pizarnik vedi pure →
Memoria Iluminada Alejandra Pizarnik
un film di Virna Molina e Ernesto Ardito