Alemanno e Bossi, Giulio Cesare e Asterix. La storia è sempre la stessa
Creato il 25 luglio 2011 da Massimoconsorti
@massimoconsorti
Sembra sia passato un secolo da quando Romani e Galli, pardon Leghisti, facevano pubblicamente la pace davanti a un piatto di rigatoni co’ la pajata. Eppure non è manco un anno e risiamo punto e a capo. Il fatto è che Gianni Alemanno è un tipo suscettibile al quale non ne va bene una e, da buon ex fascistello, è sempre pronto alla sprangata propedeutica. Invece di fare il mestiere di sindaco per il quale è lautamente pagato dai cittadini e pulire con un po’ più di accortezza la sua città, sono mesi che perde tempo a rispondere colpo su colpo ai cedroni padani che non perdono occasione per fargli saltare i nervi. Smesso il solito ritornello della “Roma ladrona” da quando anche loro attingono a bocca piena alle mammelle della Capitale, ora sono passati ai fatti e piano piano, lemme lemme, quatti quatti, stanno scippando un ministero alla volta a quella che dovrebbe essere la sede istituzionale del potere italiano, per l’appunto Roma. Alemanno sa bene che si parte sempre dagli uffici di rappresentanza per poi arrivare a trasformare la rappresentanza in sede stabile e decisionale; quello che conta è la volontà politica e, in questo momento, la volontà politica sta tutta proprio nelle mani degli adoratori di Odino, che Manitù li fulmini. Certo è che l’inaugurazione degli uffici dei ministeri dell’Economia, della Semplificazione e delle Riforme per il Federalismo presso la Villa Reale di Monza, ad Alemanno è apparsa da subito come una cosa dell’altro mondo, un delitto di lesa maestà, uno scippo in piena regola quasi si trovasse su un autobus della linea 67. Lui e la cazzutissima Renata Polverini, quella che deve al peperoncino reatino buona parte della sua vitalità, non sanno più cosa fare per porre un argine alla escalation politico-amministrativa dei Settentrionalisti. Giorno dopo giorno si ritrovano a fronteggiare attacchi che gli provengono dai soliti noti, Bossi, Calderoli, Castelli, Borghezio, Gentilini, Speroni e a questo fuoco di fila non riescono a contrapporre nulla se non la loro pochezza politica e dialettica. Alemanno e Renatina sembrano Totò e Peppino a Milano; a volte si prendono per mano, altre interrogano un vigile sulla strada da prendere per andare dove devono andare, altre ancora appendono nell’albergo che li ospita prosciutti e salami perché pensano di trovarsi al Polo Nord dove il freddo impedisce la crescita della flora, della fauna ma non del cemento. Non sappiamo se con un sindaco diverso la Lega avrebbe mosso gli stessi passi e compiuto le stesse azioni, quello che è certo è che hanno preso Alemanno per quello che è, il nulla e la Polverini per una donna alla quale è caduta accidentalmente una “S” dal cognome. Ieri a Lezzeno, in provincia di Como, il Senatur ha tenuto il solito comizio della domenica, quello che segue la ormai santificata cena del sabato al Bar dello Sport di Adro. E Alemanno è stato ancora una volta il protagonista principale di uno show ormai privo di qualsiasi contenuto, per la serie “il vuoto che contiene il nulla”, dopo che la Matteo Salvini’s Band lo ha reso famoso inserendolo nel ritornello di una famosa canzone che suona pressappoco: “Alemanno, Alemanno vaf-fan-culo”. E, sibillino come gli capita di essere da quando l’ictus gli ha minato l’80 per cento delle capacità verbali, fra un rutto e una pernacchia, un medio alzato e un vaffanculo al cielo nuvoloso ha tentato di urlare: “...gi il ...ndaco di ...oma sarà ...bbiato per gli ...ffici dei ...nisteri a ...onza ha detto che è ...cettabile ma ...econdo me è ...ccettabile che Roma sia ...asta ...guale ...opo che è ...alito lui: non ha fatto ...iente, un po' ...ome la ...ratti". Tralasciamo la traduzione perché nel frattempo Rosy Mauro era andata alla toilette, ma il senso della frase del ministro è che Alemanno a Roma non ha fatto nulla come la Moratti a Milano. E poi c’è ancora chi si chiede per quale motivo abbia vinto Pisapia. Se perfino gli alleati dicono che Donna Letizia non valeva una mazza, figuriamoci cosa ne potevano pensare gli oppositori. Ma dallo Zelig di Lezzeno è emersa un’altra novità che ci ha dato da pensare su quale sia lo stato di salute attuale all’interno della Lega. Umberto Bossi ha ripreso a lodare Giulio Tremonti dopo settimane di era glaciale. Ha perfino detto (dalla traduzione di Rosy Mauro che nel frattempo aveva scaricato i due litri di birra tracannata): “Meno male che abbiamo uno come Tremonti che è stimato e riesce a vendere titoli di Stato. Finché il mercato ci crede campiamo, altrimenti facciamo la fine della Grecia". Stanco di sentire osannare il suo (quasi ex) delfino Bobo Blues Maroni, che perfino Gianfranco Fini (reduce dall’ennesimo attestato di solidarietà ai manganellatori di Genova), vedrebbe bene come presidente del Consiglio, Bossi gli ha lanciato un siluro di quelli molto simili agli uccelli paduli, quella strana razza ornitologica che nessuno riesce a vedere ma che quando arriva si sente eccome. Il fatto è che Maroni gli sta minando la base, oramai il ministro dell’Interno ha dalla sua più della metà dei deputati e dei senatori, dei sindaci e degli altri amministratori locali e Bossi, sempre più stretto nel suo diabolico “cerchio magico”, non è che la copia evanescente dell’Umberto in canottiera che giocava a bocce a Ponte di Legno. E se l’avvenire della Lega è Maroni, figuriamoci quale sarà quello degli italiani se per sfiga il rosicchiatore dei polpacci di poliziotti dovesse fare sul serio il presidente del consiglio. E allora, meno male che c’è Bersani il quale, colto da un attacco acuto da opposizione vera, ha detto: “Non daremo mai il nostro appoggio a un governo guidato da un ministro berlusconiano”. Chissà se prima di parlare ha chiesto il permesso a D’Alema. Per il momento godiamoci la foto di Umberto Bossi in versione Ray Charles, non ci resta altro da fare.
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