Alessandro Assiri, La stanza delle poche righe, Manni, 2010, €13.00
I poeti che interpretano se stessi trovano stupefacenti accostamenti di senso anche nel titolo: “La stanza delle poche righe” è un corposo volumetto di poesie; di poche righe sono invece i componimenti nella pagina che riflettono un dire rarefatto che tenta la fatica di fornire un senso all’esistenza e si trova sopraffatto dal poco, dal nulla.
“Dimmi che cosa c’è tra questo nulla e me”: questo verso è collocato quasi all’inizio della raccolta e quindi produce un effetto di trascinamento su quanto segue e quando un poeta dice che anche le parole cadono e muoiono , ci troviamo di fronte al non celato disagio non solo della percezione e del sentire, ma anche dello status stesso di poeta. Il poeta , per scelta o vocazione”dice”, allora perché continuare a dire se con le parole non si riesce ad oltrepassare la ottusa porta dell’interazione con il mondo? Il poeta non può non dire e Assiri si avvolge e riavvolge dentro questo ossimoro.
Raccolta amara, ma non pesante, perché solo i macigni che schiacciano provocano ferite insanabili; il trascorrere quotidiano di eventi , emozioni, attese inarrese, obiettivi irraggiungibili, discrasie fra realtà e immaginazione, portano con sé sabbia bagnata, fastidiosa, incancellabile, amara metafora di ciò che avrebbe potuto essere e di ciò che è, fulgenti un attimo prima che si spenga il sorriso.
Il poeta non ha che da mettere in scena se stesso, pena dopo pena, alba dopo tramonto, sera prima della notte e notte poi con la consapevolezza di “…si tenta di vivere/ accorgendosi/ in queste cose che non parlano/ ma di sé recano notizie/ si rinnovano stagioni/ estinguendosi.”
L’ossimoro è comunque lo stato onnipresente di Assiri : “ l’attimo che prepara l’istante/ mai un presente/ sul corpo che si lascia”. Filosoficamente mi si affaccia alla mente tutta la filosofia eraclitea del presente inafferrabile perché nel momento stesso in cui lo si pensa è già passato , ma qui il poeta afferma, contrariamente al “Tutto scorre- tutto vive” un amaro “tutto si estingue”.
Banalmente si potrebbe obiettare che è esperienza di tutti, l’estinzione, ma qui si vede un’estinzione quasi coesistente alla presenza e l’esistenza si colloca in interstizi di poca luce.
La raccolta, per altro costituita da splenditi versi, da immagini scarnificate di grande efficacia, lirica senza lirismi, si addensa tutta attorno al tema del vuoto inteso non come solitudine, mancanza di segni, ma al contrario dalla caducità di ogni segnale, e, nonostante, la resistenza della vita che procede fra barlumi, che non si inganna più o non si fa ingannare più neppure dall’amore, si dura, quasi coscientemente ci si illude che “gabbiani così/ con le ali sporche/ è quasi sera leggera/ potrebbe essere estate” e “ nei giorni della festa/ le attese tutte appese/ a sillabe protese”. Osa anche giocarci con l’ingannevole immaginazione con queste rime e queste assonanze.
L’ultima parte del libro è occupata dal tema dell’incontro amoroso, incontro che resta poco più che uno sfioramento: “sei più giovane di qualche mai/ e io ho due ore più di te/ per pensare l’altrimenti”. Siamo giunti sommando poco a niente a sentire l’impossibilità dell’amore, la sua non tracciabilità, il suo farsi inconsistente, il volo di un aquilone, il bianco del latte versato.
Assiri quasi si stupisce che in tanto vuoto ancora i passi si susseguano per condurci a casa, dove poi incontreremo nuovo nulla, miraggi, una nota del canto delle sirene.
A volte, nelle poesie fra un strofetta e l’altra si aprono ampi spazi bianchi: è quanto ci regala Assiri per ripensare la nostra esistenza , per scorgere le nostre chimere.
Una bella raccolta, densa e mai ripetitiva nella assoluta coerenza del tema e nel dettato sicuro, mai epigrammatico o saccente, ma quasi umile, o forse esatto come un bisturi che incide un bubbone.
Narda Fattori